25/10/2004 ore: 11:07

Legge Maroni un anno dopo, è già inutile

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            sabato 23 Ottobre 2004


            Presentata come la panacea per i problemi degli «atipici», la riforma del mercato del lavoro ha accentuato insicurezza e sfruttamento
            Legge Maroni un anno dopo, è già inutile
            La flessibilità esasperata induce instabilità e precarietà. E i diritti di chi lavora dove sono?

            Felicia Masocco

            ROMA La riforma del mercato del lavoro, la legge 30, compie un anno. La sua piena applicazione è lontana, ma la filosofia che la sostiene ha già attecchito. La legge è sinonimo di precarietà e di insicurezza, questo viene percepito dai cittadini intervistati da Demoskopea per Italia Oggi. Mentre attenti osservatori che pure non avevano criticato l’iniziativa politica che avrebbe reso il mercato del lavoro italiano «il più libero d’Europa», oggi mettono in guardia il governo, la legge potrebbe mancare l’obiettivo di fondo, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

            Lavoro a progetto, lavoro a chiamata, lavoro ripartito, lavoro accessorio, nuovo apprendistato: la legge moltiplica le tipologie di contratto e batte ancor di più la strada per una competizione basata sui minori costi (e diritti) in un Paese in cui c’è invece necessità di produzione di qualità, di innovazione nel prodotto. Senza contare che le norme sugli appalti e la cessione del ramo di impresa vanno in senso opposto ai tentativi che finalmente si stanno facendo di Europa di porre un freno alle delocalizzazioni, al trasferimento delle attività.

            È stata introdotta una valanga di flessibilità di cui non si avvertiva il bisogno visto che a dare un bel colpo alla «rigidità» del mercato del lavoro italiano ci aveva già pensato il «pacchetto Treu» nei governi di centrosinistra. Il lavoro a tempo indeterminato non è più né un punto di riferimento e tantomeno un traguardo verso cui tendere, per questo governo. Basti pensare che nella delega 848bis gli incentivi alle imprese che assumono sono previsti tanto per il tempo indeterminato quanto per tutte le altre tipologie di contratto. Si aggiunga che la stessa riforma degli ammortizzatori sociali (indennità di disoccupazione e cassaintegrazione), già di per sé parziale e insufficiente, è invece ferma da due anni in Parlamento. Siamo dunque di fronte ad una flessibilità senza tutele, e questo è precariato.

            Il ministro Roberto Maroni si difende sbandierando i dati sull’occupazione. Nei primi sei mesi dell’anno è cresciuta di 165mila unità. Non dice il ministro che nei tre anni precedenti c’erano stati 400mila nuovi posti di lavoro (nel 2001), 320 mila (nel 2002) 280mila (nel 2003). Anni in cui della riforma da lui voluta non c’era traccia. «Quello che il centrodestra deve registrare - osserva il presidente dell’Ires-Cgil Agostino Megale - è che la crescita di occupazione degli ultimi tre anni, con una coda nei primi sei mesi del 2004 è ancora il derivato del pacchetto Treu».

            Si vedrà in futuro se la legge 30 riuscirà a fugare i forti dubbi di chi l’ha contrastata, «ma anche quando tra dieci mesi se ne potrà monitorare l’applicazione, si avrà la conferma che non c’era bisogno di passare da 40 a 50 strumenti di ingresso e permanenza nel mercato del lavoro - continua Megale - serviva piuttosto riordinare gli strumenti esistenti e accompagnarli con una politica di tutele e diritti, welfare e ammortizzatori sociali».

            Gli ultimi dati diffusi dall’Istat dicono poi un’altra cosa che il ministro del Lavoro tace: la trasformazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, che - fiore all’occhiello della riforma- dovrebbe dare una risposta alla piaga del lavoro dipendente mascherato, sta creando nuove forme di precariato. Dei 165 mila nuovi posti di lavoro registrati nel primo semestre dell’anno, ben 71mila sono aperture di partite Iva, e se una parte di queste sarà senz’altro vero lavoro autonomo, una parte indica un «inabbissamento» del lavoro, un ritornare nel sommerso. È solo una tendenza, per ora. Solo da martedì infatti la norma sui co.co.co sarà pienamente applicabile, arrivano i contratti a progetto, si vedrà quanti saranno e quanti collaboratori resteranno «in chiaro».

            «Siamo ancora più convinti che questa sia una legge sbagliata», dichiara il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni «si dice che sia troppo presto per fare un bilancio, bene, aspetteremo tutti gli step. Ma non rinunciamo né all’inziativa di contrasto né a fare proposte, a dire che cosa vogliamo al posto di norme che vanno cancellate». «Norme e forme di lavoro che - nota l’esponente Cgil - al contrario di quanto si afferma non riescono, tra l’altro, a dare risposta al ritardo del Mezzogiorno». È sempre l’Istat a denunciare un calo di occupazione al Sud di 14mila unità nel 2004.

            Più articolato il giudizio della Cisl, «correggeremo i difetti della riforma con la contrattazione», ha detto ieri Savino Pezzotta in un convegno a Modena, la città in cui insegnava Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dalle Br, autore del Libro bianco su cui si basa la legge 30. «La contrattazione diventa determinante perché, se la flessibilità è solo quella che vuole l’impresa, il confine con la precarietà diventa sottile». Per il leader della Uil Luigi Angeletti merita comunque «la sufficienza». «L’abbiamo appoggiata perché consentiva l’abolizione dei co.co.co. e per favorire l'incontro della domanda e dell’offerta». Sul primo obiettivo si «stanno facendo dei passi importanti, mentre sul resto non c’è ancora nulla».

            Sono ancora molti gli interventi che mancano in un mondo del lavoro che sarà sempre più atipico, flessibile e precario. L’accesso al credito è uno di questi. Ne ha parlato ieri Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa: «L’accesso difficilissimo ai servizi di credito per centinaia di migliaia di lavoratori è un aspetto di enorme importanza, collegato all’ evoluzione del mondo del lavoro in Italia», ha detto. «Intesa - ha aggiunto - sottolinea questa priorità nazionale e si pone da subito a disposizione per sviluppare soluzioni concrete e efficaci».

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