Le commesse protestano: «Basta festivi»
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Ieri nuove manifestazioni in tutta Italia contro la legge che estende l`orario d`apertura dei negozi
Hanno capito, nell`era della comunicazione globale, che per essere ascoltate non basta avere una qualche ragione, ma occorre anche essere visibili e "moderne". E così le commesse (e i commessi) che dicono no alla domenica di lavoro nei centri commerciali, per coalizzarsi ed organizzare la loro protesta hanno utilizzato soprattutto Facebook, anche se quella che rivendicano è un`esigenza vecchia come il mondo: poter trascorrere almeno un giorno alla settimana vicino ai propri cari. Ieri hanno manifestato in vario modo in tante città italiane, e se prima protestavano contro le temute conseguenze del decreto Monti che ha liberalizzato in modo totale gli orari d`apertura dei negozi, adesso ne denunciano gli effetti che si sono puntualmente verificati, con tante vite private stravolte da un micidiale combinato-disposto: il testo del decreto ormai divenuto legge e gli effetti della crisi sull`occupazione all`interno delle grandi catene di vendita. ,Sono tanti, se non tutti - spiega Cecilia De Pantz, segretaria della Filcams Cgil di Padova - i cittadini che si recano nei centri commerciali, ma spesso si ignora quali siano le dina- miche lavorative al loro interno, e l`impatto durissimo che ha avuto l`estensione delle aperture praticamente a tutte le domeniche dell`anno». Già, un conto è entrare da cliente, notare che la gente è spesso addirittura più di quella dei giorni feriali, rallegrarsi che con l`introduzione delle aree di pagamento "self service" la fila alle casse non è aumentata, un altro è vedere che cosa comporta tutto questo per i dipendenti, purtroppo sempre meno. ,Con la crisi - spiega De Pantz - non solo non si procede più con nuove assunzioni ma si è anche bloccato il turn-over. Su questo calo occupazionale la liberalizzazione delle aperture ha avuto l`effetto di una tempesta, iniziata ormai da mesi». Da anni i contratti di assunzione prevedono l`obbligo di prestare lavoro per 12 domeniche all`anno, con un ulteriore 30% dei festivi che può essere imposto in base al contratto del commercio. ,Una volta aboliti da Monti i limiti al numero delle aperture domenicali - prosegue la segretaria Filcams - formalmente i dipendenti dei centri commerciali possono quindi essere costretti a lavorare per circa la metà dei fine settimana. Formalmente perché la realtà è ben peggiore: con la minaccia di trasferimenti
o altri strumenti di pressione, di fatto buona parte del personale è costretta a recarsi al lavoro tutte le domeniche dell`anno. Poiché la maggior parte sono donne, l`impatto sulla vita familiare è facilmente
immaginabile».
FUTURO ANCORA PIÙ CUPO
Rinunce che non hanno un prezzo, ma se anche esistesse sarebbe pagato con una percentuale persino irrisoria. Infatti, se prima i festivi venivano "trattati" alla stregua di straordinari, adesso le domeniche fanno parte dell`orario ordinario di lavoro con maggiorazioni minime in busta paga. ,Spesso - spiega De Pantz - si finisce con il lavorare un giorno in più a settimana aggiungendo non più di 10/15 curo allo stipendio. Se poi una persona abita lontano dal posto di lavoro, il costo del carburante si porta via pure quelli». Ce n`è abbastanza per capire come si sia creata una situazione per molte commesse insostenibile: ,Lo stress è aumentato moltissimo, anche perché il lavoro è sostanzialmente cambiato. Adesso una commessa passa il 75% del suo tempo fra la cura del magazzino, il trasporto delle merci e l`allestimento degli scaffali. Solo il restante 25% viene trascorso davanti ai clienti. E così aumentano le malattie e le dimissioni». Con un futuro che appare ancor più cupo: ,La gente privilegia sempre più il week-end per recarsi nei centri commerciali, perché con la crisi finisce col risparmiare rispetto alla classica gita familiare. Questo determina invece un progressivo spopolamento della grande distribuzione nei primi giorni della settimana. Il risultato è una vistosa sproporzione nell`andamento degli acquisti, che le aziende usano come alibi per impiegare sempre meno personale dipendente e ricorrere al part-time per coprire i momenti di picco. Insomma, una nuova forma di precarizzazione».