18/9/2003 ore: 10:41

Lavoriamo più dei tedeschi

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      Economia




          giovedì 18 settembre 2003

          Lavoriamo più dei tedeschi
          L’Ocse: italiani stakanovisti. Ma le retribuzioni perdono
          il 10% in tre anni
          Luigina Venturelli

          MILANO Finiscono nella soffitta degli stereotipi gli italiani che lavorano
          il minimo indispensabile e si godono la vita il massimo possibile.
          In realtà lavoriamo di più e guadagnamo di meno. I dipendenti
          nel nostro paese passano in fabbrica o in ufficio 1.619 ore all’anno,
          210 ore in più dei tedeschi, 99 ore in più dei francesi, piazzandosi al sedicesimo posto della classifica dei super orari. In compenso, come
          risulta dall’ultimo rapporto Od&M, tutte le buste paga hanno
          perso la loro guerra contro l’inflazione: gli impiegati hanno perso il
          13,3%, gli operai il 9,3% e i dirigenti il 7,8%.
          L’incremento delle ore lavorative (ma non quello dei salari, in picchiata) è, del resto, una tendenza riscontrata a livello mondiale. Lo dimostra il rapporto annuale sull’occupazione presentato ieri dall’Ocse: se la media settimanale è ancora di 38 ore, risulta in costante aumento la fascia di chi ne lavora più di 45 o addirittura 55. Altro che le tanto agognate 35 ore: in
          alcuni paesi (Grecia, Islanda e Regno Unito) il 40% degli uomini lavora più di 45 ore, mentre cresce anche il numero delle donne che in azienda o in ufficio trascorrono gran parte della giornata.
          Ma le sorprese non finiscono qui. Tramonta anche il mito dei giapponesi che, con le loro 1.809 ore all’anno, cedono il loro primato di stakanovisti ai cechi (1.980), agli slovacchi (1.979) e ai messicani (1.888), per i quali l’abituale siesta pomeridiana resta ormai un lontano ricordo.
          E in generale il troppo lavoro peggiora la qualità della vita: «Il lungo orario di lavoro - ha avvertito l’Ocse - può mettere a rischio la salute dei lavoratori e le loro relazioni familiari». La riduzione dell’orario di lavoro settimanale, un trend storico e che ha caratterizzato per un secolo le battaglie sindacali, «sembra aver rallentato negli ultimi decenni e in alcuni paesi si è addirittura bloccato».
          Alla crescita dei tempi trascorsi sul luogo di lavoro, inoltre, si accompagnano in Italia nuove modalità contrattuali: mentre il tempo pieno e il lavoro a tempo indeterminato sono diminuiti in 10 anni (dal 1991 al 2001) rispettivamente dello 0,2% e dello 0,4%, il part-time
          è cresciuto dello 0,4% portando la percentuale sull’occupazione totale al 12,2%. Anche il lavoro a termine in 10 anni è cresciuto dello 0,4% e rappresenta il 9,5% del complesso dell’occupazione.
          L’altro tasto dolente del rapporto Ocse riguarda l’aumento della
          disoccupazione nei paesi più industrializzati del mondo: il numero
          dei senza lavoro, infatti, quest’anno aumenterà a 38 milioni di persone,
          con un tasso in crescita dal 6,7% del 2002 al 7% del 2003. L’Italia,
          in particolare, avrà un tasso di disoccupazione di gran lunga superiore
          alla media, al 9,2% entro la fine del 2003 contro il 9,1% dell’anno
          precedente, per un totale di 2,2 milioni di senza lavoro.
          Poco consola la prospettiva di un miglioramento alla fine del 2004, quando la percentuale dei non occupati dovrebbe scendere in Italia all’8,9% e nei paesi Ocse al 6,8%. «Le prospettive di ripresa economica
          - ha sottolineato l’Ocse -restano incerte e il rallentamento mette in luce il rischio di reversibilità dei miglioramenti del mercato del lavoro».

             

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