28/7/2019 ore: 14:17

La Repubblica - Tanti sacrifici ma i miei figli sono tutti laureati

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«Mio marito si ammalò e perse il lavoro di capo magazziniere. Da allora è cominciata per noi una fase abbastanza dolorosa. Avevamo tre figli e io già al primogenito ero stata fatta fuori dal mio posto di perito d’azienda, che tra l’altro mi piaceva molto, coltivavo le lingue. In più avevo anche un diploma come operatrice socio-sanitaria, e un altro come musico-terapeuta». E invece l’unico lavoro che trova è diverso. «Addetta alle pulizie. E da 26 anni cerco di fare bene questo mestiere, ma la situazione è grave». Loredana Del Luca ha 58 anni, continua a pulire reparti e uffici sanitari, per l’impresa Queen. Vive a Marigliano, hinterland di Napoli. Suo marito, per fortuna ristabilitosi, ha trovato solo ora, sotto i 60, un part-time in Comune. Ora, alle otto del mattino, sta imbarcandosi per Ischia: ma non ha una valigia. In gita, Loredana? «No. Sull’isola andiamo a fare volantinaggio, sensibilizzazione; tra 5 ore si torna e si lavora. Eccole, le locandine Filcams Cgil, nei servizi e nel commercio sono tanti gli addetti sottopagati, isolati. Devo a un gruppo di donne, e ora anche alla nostra giovane segretaria Luana, la tenacia, la volontà di battersi». Il momento più duro? «Quando ho fatto tante notti per pulire i pronto soccorso: i “porti di mare” della sanità napoletana. Uscivo la sera alle 21, tornavo alle nove del mattino quando i figli erano a scuola. Mia figlia aveva solo 14 mesi, rientrava nel tardo pomeriggio dal tempo pieno, per un paio di anni non mi riconosceva, ne soffrivo. E poi a casa, cominciava il lavoro domestico: nessun aiuto, solo mio marito. Che intanto ha fatto in nero di tutto: garagista, manovale, benzinaio, tecnico di piscine, idraulico». Adesso com’è la sua vita? «Le nostre condizioni? Sempre peggiori. Gare al massimo ribasso, stipendi sempre in ritardo: chi aspetta 500 o 600 euro e non arrivano, come sopravvive? Ma a chi importa? Siamo invisibili: siamo quelle che entrano, svuotano, non hanno volto. Io sono una privilegiata: guadagno poco più di mille euro. E potrei smettere, se ascoltassi i miei figli». In ufficio si favoleggia dei suoi ragazzi brillanti... «È così. Un po’ un lieto fine inaspettato. Tutti e tre, molto in gamba. Il primo ha preso una seconda laurea Oltralpe, in Ingegneria Industriale, e lavora a Parigi. Il secondo, che in Campania non era riuscito a frequentare Medicina, dopo un master in Neuroscienze, è stato preso a lavorare al Centro del midollo spinale, in Francia. La terza sta frequentando Ingegneria gestionale. Ci hanno aiutato». Loro? «Un giorno, vengono i due ragazzi più grandi: in mano le loro borse di studio, 5 mila euro ciascuno. “A noi non servono”. Non potrò mai dimenticarlo». La vita sa ripagare, a volte. «Sì. Loro hanno il merito di essersi impegnati. Ma è servito anche lottare. E credere che lo studio non fosse un lusso. Un altro destino per loro era possibile, oltre che giusto».