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La Dignità del Lavoro (G.Epifani)

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    sabato 14 gennaio 2006


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    Flessibilità
      La Dignità del Lavoro
        Guglielmo Epifani
          I cinque anni di governo del centro destra sono stati caratterizzati, fra i tanti errori e le tante politiche sbagliate, soprattutto per l’attacco sferrato - un attacco molto forte e convinto - alle politiche per il lavoro, ai soggetti della sua rappresentanza, ai diritti acquisiti in decenni di battaglie e di lotte. Ha operato, insieme, un tentativo di destrutturare il quadro esistente e di imporre un disegno ideologico avulso dai reali problemi di oggi. Un tentativo che, incontrando difficoltà sempre più rilevanti, sono convinto, alla fine determinerà il fallimento stesso della coalizione che lo ha sostenuto.
            Perché, prima di tutto, a fallire e a dimostrare tutti i propri limiti è stata l'impostazione culturale che sottende l'operato legislativo e politico del governo: il tentativo di distruggere un quadro di diritti universali e di tutele collettive e di assumere questo come premessa per una ripresa dello sviluppo e della crescita del paese. E in virtù di ciò - in una concezione sistematica, che mai ha fatto difetto alla destra - far crescere un consenso sociale attorno al combinato disposto tra questo tentativo di destrutturazione, l'effetto che poteva avere sulla crescita e lo sviluppo, e il fatto di avere una condivisione sociale via via più estesa di questa filosofia, di questo impianto e di questi effetti. Questo messaggio “egoistico” non è passato; questo processo non si è innescato, anche grazie a noi. In questi anni ci siamo infatti “ben” difesi, dagli attacchi del governo e della vecchia Confindustria. Ci siamo difesi, cercando di parlare al paese con il linguaggio della verità: l'Italia non cresce; c'è il ristagno dei consumi; per la prima volta dal ‘94 cala la domanda di consumo soprattutto dei generi di larga diffusione. Tutto questo crea, unitamente all'assenza di crescita, un'insicurezza via via maggiore che tende a diventare simbolo e fattore di coscienza di milioni di persone. Io credo della maggioranza del paese. Come ci dicono - del resto - non solo i riscontri quotidiani che abbiamo, ma anche tutti i sondaggi. Questo è un paese che è insieme relativamente più povero, più diviso e sempre più insicuro. Ci siamo difesi nella contrattazione quindi, strumento principe per un sindacato, cercando di “arginare” la filosofia sbagliata che sottendeva la legge 30 e soprattutto tentando di contenere quella dimensione della precarietà a dismisura, che è divenuta una condizione di vita per molti. Consapevoli, ieri come oggi, che c'era e c'è un filo che unisce la battaglia della Cgil contro la legge 30, contro la Bossi-Fini, contro le riforme Moratti, al di là dello specifico settore e delle tecnicalità : un'idea di paese, di società e di sviluppo alternativi, prima di tutto nei valori, a chi in Italia (anche maldestramente) si è fatto paladino di un liberismo sfrenato. La Cgil esce da questa battaglia vincitrice, nella convinzione che quell'impostazione culturale non è passata; più forte e consapevole di aver sbarrato la strada - ovviamente insieme ad altri- al progetto culturale e politico della destra e del Governo Berlusconi. Una battaglia in cui la Cgil ha saputo esprimere sempre e con vasto consenso una proposta alternativa, un'altra visione delle cose. E proprio questa capacità ci ha reso più forti nel contrastare a livello di contrattazione collettiva, di mobilitazione, di confronto con le Regioni ed i Comuni le parti peggiori di quelle leggi (se mai fosse possibile distinguere tra norme peggiori di altre). Oggi, però (e per fortuna) ci troviamo in un'altra fase, ben rappresentata dai documenti e dalle analisi presenti nella pagine che seguono: dare uno sbocco alle nostre proposte; farle vivere nel confronto con le forze politiche che si candidano a governare il paese; farle divenire patrimonio comune delle altre forze sociali (e in molta parte ciò sta già avvenendo; mi riferisco per esempio alla piattaforma sulla conoscenza o a quella sul contrasto al lavoro nero); far crescere attorno ad esse il consenso necessario soprattutto fra i lavoratori e le lavoratrici.
              Le nostre proposte sul mercato del lavoro, contro l'economia sommersa, per un'altra politica di integrazione, per un sapere “bene comune”, per politiche territoriali solidali ed efficienti, sono il miglior biglietto da visita con cui il mondo del lavoro che rappresentiamo si presenta, senza subalternità e timore, al confronto prossimo venturo. Prova assoluta e inopinabile di una capacità autonoma di essere rappresentanti di parte, ma con una visione generale che guarda oltre i propri iscritti. Per parlare al vasto mondo di chi oggi - lavoratore e cittadino - è privo di una rappresentanza non solo sociale, ma soprattutto politica. Questa è l'idea forte della nostra autonomia: proporre una nostra idea di mercato del lavoro, di inclusione, di welfare, di riforma, forti di un consenso che va oltre la nostra platea organizzata. Con in più - e questo aspetto non è di poco conto - una capacità anche temporale di essere stati i primi ad avere una posizione chiara e una proposta complessiva su temi così strategici. Una serie di proposte che offriamo come base di discussione e di confronto, per ripensare quel quadro organico di cui c'è bisogno, per ricostruire la fiducia e ridare al lavoro quella dignità e quel valore che, in troppi, in questi anni, hanno cercato di sminuire. Andare oltre la legge 30, oltre la Bossi Fini, oltre le leggi Moratti vuol dire tutto ciò: la società italiana, attraversata da una profonda crisi economica, sociale e civile ha bisogno non di aggiustamenti parziali, non di un “maquillage” di facciata. Ha bisogno di un cambio di passo, di prospettiva tanto radicale quanto strategica. «Riprogettare il Paese» vuol dire proprio questo: saper aggredire i nodi di fondo di un modello produttivo e sociale che ha generato più disuguaglianze, più povertà, più solitudine; e indicare la necessità di definire una proposta e un progetto per la sua ricostruzione, per la sua rinascita civile e morale, partendo, come giusto e doveroso per una grande forza come la Cgil, dalla centralità del valore sociale del lavoro. Come Cgil indichiamo strade possibili per compiere tutto ciò: le nostre proposte sono la prova più coerente e tangibile che da questa nostra funzione di tutela e di costruzione di sempre più ampie reti di diritti non ci discosteremo. Né oggi, né domani. Perché il merito di quanto proponiamo è il frutto di una stagione di cui rivendichiamo, con coerenza, “atti e passioni”, e solo sul merito - come sempre - saremo pronti a discutere, con quella pacatezza e responsabilità che contraddistinguono il nostro impegno da cento anni a questa parte.

            Dalla prefazione a «I diritti al lavoro.
            Le proposte della Cgil per una buona,
            stabile e sicura occupazione»
            (A. Genovesi, M. Guiducci,
            C. Treves Ediesse 2006)

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