28/2/2007 ore: 11:19
La classe dirigente boccia se stessa
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Pagina 32 - Economia luoghi di formazione: non più i partiti di massa né i sindacati ROMA - La classe dirigente italiana boccia se stessa. Di più: non ritiene nemmeno di avere un ruolo di guida. L´autoscatto è stato fatto con il Rapporto della Luiss sulle élite, che per la prima volta prova a disegnare i confini e i tratti distintivi della classe dirigente italiana. Ne emerge un quadro sconfortante, di una società che, nella perenne transizione del post-Tangentopoli, non riesce a selezione, se non in una sostanziale opacità, la maggior parte dei suoi leader. Fino al punto che oggi i dirigenti italiani sono ancora più vecchi: nel 1990 l´età media era di 56,8 anni, nel 2004 si è alzata a quasi 62 (61,8), con l´entrata nel gruppo di testa che per oltre il 50 per cento avviene tra i 45 i 55 anni. Declina la politica, innanzitutto, sede sempre più incerta della rappresentanza degli interessi generali; ma stentano anche i protagonisti dell´economia e della cultura a dare voce ad un nuovo esprit republicain. Mancano i centri e i luoghi stessi della formazione: non più i partiti di massa, né i sindacati. Ma si sente anche il vuoto dell´azione propulsiva che ebbero, nei decenni passati, istituzioni come la Banca d´Italia, o le scuole aziendali di Olivetti, Fiat o Eni. Tutto tende a complicarsi nella "società liquida" che racconta Zigmunt Bauman, e che al sociologo italiano di scuola-Censis Nadio Delai serve per dire che in essa «le classi sociali si "zebrano" tra loro». E allora diventa difficile anche solo individuare i membri della nostra élite. «Sono poco numerosi, ma in realtà molto pesanti», spiega Carlo Carboni, dell´Università di Ancona, tra gli studiosi più attenti ai mutamenti della classe dirigente. Carboni parla di «mappe a fisarmonica», all´interno della quali possono entrare e uscire gli stessi dirigenti. La "mappa ristretta" ("i numero 1") non va oltre le duemila unità, per toccare le seimila nello step intermedio ("le élite traenti") e arrivare fino a 17 mila ("le élite di policy"), allargando a tutti i dirigenti della pubblica amministrazione. Davanti allo specchio l´élite italiana non si piace. Si vede esattamente come la percepisce il resto della popolazione. Sintetizza Ilvo Diamanti: «Caratterizzano la classe dirigente non le competenze, ma le conoscenze; non la responsabilità, ma la cooptazione». Così che il potere si esercita più nella sua versione negativa (i veti) anziché nell´assunzione di decisioni. «Una classe dirigente - dice Diamanti - tutta all´opposizione». E nella prospettiva di uno storico come Ernesto Galli della Loggia «le classi dirigenti sono, ahimè, dei prodotti storici». Dunque non si possono «generare», come auspicherebbe il Rapporto dell´Università della Confindustria. Spetta alla politica aprire la società alla cultura del merito e della competizione, anche per selezionare la nuova classe dirigente. Spetta alla politica perché - sostiene Luca di Montezemolo presidente della Confindustria e della Luiss - «credo che non possiamo accettare una sorta di "Paese fai da te" dove molti si danno da fare, anche con grande generosità, nell´indifferenza degli altri. L´indifferenza di chi è protetto, di chi non si misura con il mercato e la competizione, di chi sta seduto a poppa mentre altri remano anche per lui». |