L'inspiegabile anomalia italiana

Intervista a Gino Giugni
L'inspiegabile anomalia italiana
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di Roberta Miraglia «Non riuscivo proprio a capire. A letto in ospedale continuavo a mormorare "perché?"». Un giorno di primavera di quasi vent'anni fa, il 3 maggio 1983, un professore di diritto del lavoro finisce per la prima volta nel mirino di un commando delle Br: colpendo Gino Giugni i terroristi sparano sulla politica economica del Governo di cui il docente universitario della Sapienza di Roma è consulente. E inaugurano il filo rosso-sangue degli agguati contro i riformisti del lavoro. «Ero impegnato da qualche mese a collaborare con il ministero del Lavoro - ricorda Giugni -. In quel momento si gettavano le basi per modificare l'impianto della scala mobile. Esiste un parallelismo tra gli argomenti di cui ci occupavamo allora e quelli che trattava Marco Biagi. Anche noi infatti volevamo cambiamenti nella struttura delle relazioni sindacali». Ora che i terroristi sono tornati a colpire e la tensione ha raggiunto l'apice, l'ex parlamentare socialista pensa che sarebbe opportuno calmare gli animi prima di tornare alle trattative. Ma la domanda a cui ancor oggi il padre dello Statuto dei lavoratori non riesce a rispondere è come mai l'Italia sia l'unico Paese occidentale dove un tranquillo professore di diritto muore ammazzato per aver percorso la via delle riforme. «Nel mondo occidentale questi rischi non si corrono. In Italia, invece, c'è una sequenza di episodi, con una diluizione nel tempo, certo, ma comunque alla fine una grave somma di attentati legati da un filo che non riesco a capire. E io sono stato il primo di questa serie». Quando ha appreso la notizia della morte di Biagi, collega che conosceva da lunga data, Giugni ha sentito «un tuffo al cuore» ed è stato di nuovo sommerso da ricordi che in questi vent'anni ha cercato di allontanare: i due attentatori, un uomo e una donna, che gli sparano a una spalla e alle gambe mentre esce dal suo studio romano e si allontanano credendolo morto; la via crucis della guarigione; la complessa vicenda giudiziaria. Allora il professore non aveva scorta, proprio come Biagi, che però aveva ricevuto minacce. «È stato un grosso errore togliergli la tutela» commenta Giugni. Lo studioso che ha legato il suo nome allo Statuto dei lavoratori (la legge 300 del 1970) non crede che lo scontro rovente tra Governo e sindacati proprio sulle deroghe all'articolo 18 della "sua" legge possa essere messo in relazione con l'uccisione. E poiché il professore, da ministro del Lavoro nel Governo Ciampi, fu nel '93 autore dell'accordo che gettò le basi della concertazione, è naturale che all'idea del dialogo resti molto legato. «Il clima è pesante, da entrambe le parti, bisognerebbe prendere tempo - dice -. Intanto non c'è tutta questa urgenza di cambiare l'articolo 18. Qualche modifica si può introdurre ma con molta calma. Si dovrebbe rimandare la partita, magari solo di qualche mese. Anche Biagi avrebbe auspicato questa soluzione».
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