L’eterna precarietà degli enti previdenziali

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mercoledì 30 Luglio 2003
GLI EQUILIBRI ALL’INTERNO DEI VARI GOVERNI HANNO SPESSO IMPEDITO LE NOMINE DEI DIRIGENTI
retroscena Roberto Giovannini
L’eterna precarietà degli enti previdenziali Tutti i principali sono commissariati anche da più di un anno L’Inail vide la caduta dei vertici per lo scandalo degli immobili
ROMA NON c’è pace, per gli enti previdenziali pubblici. Tutti quelli importanti sono commissariati, in alcuni casi da oltre un anno, con governo e maggioranza che non sembrano in grado in tempi brevi di trovare difficili quadrature e nominare i nuovi vertici. E adesso, a complicare le cose, anche l’indagine della magistratura, che ipotizzando un concorso truccato, ha mandato avvisi di garanzia ai membri del vertice Inps dell’epoca e a quasi 1.700 vincitori del concorso. In casa Inps non si guarda con eccessiva preoccupazione alla vicenda giudiziaria. Primo, perché la stessa dimensione colossale dell’indagine fa pensare che molto difficilmente quasi duemila attuali dipendenti dell’Inps (ed ex-Lsu) risultati vincitori del concorso contestato possano perdere il posto che è loro dal 2001. Secondo, perché l’intera vicenda fu seguita e debitamente approvata dai ministeri vigilanti, ovvero Lavoro e Tesoro. Terzo, perché la storia fa parte di un (triste) capitolo della storia recente del paese: il capitolo dei Lavori Socialmente Utili. Era l’Italia del 1996. L’Ulivo aveva appena vinto le elezioni, e si accingeva a varare la maxi manovra che avrebbe permesso di centrare l’obiettivo dell’euro. Un mix di misure impopolari, la pressione di Rifondazione comunista che chiedeva un’attenzione al «sociale», la protesta latente (talvolta esplosiva) di decine di migliaia di persone in cassa integrazione o in mobilità. Nel «Pacchetto Treu» sul lavoro, varato nel ‘97, venne dunque inserita una norma che puntava a inserire questi ex-lavoratori in progetti «socialmente utili» o di «pubblica utilità» delle amministrazioni, in cambio di un’indennità. Bella idea, ma di difficile realizzazione: alla fine il governo si accorse che questi «LSU» erano diventati decine di migliaia; che spesso non svolgevano alcuna attività «utile»; oppure, che finivano per svolgere in enti e amministrazioni il lavoro del personale regolare. Una bomba che il governo D’Alema cercò di disinnescare, affidando alla società Italia Lavoro il compito di «piazzare» gli Lsu in imprese, e chiedendo agli enti di «fare il possibile». È quello che accadde (tra l’altro) anche all’Inps, dove da circa due anni lavoravano già quasi 2.000 persone «socialmente utili». La strada scelta fu quella tipicamente italiana, ovvero la prassi normale seguita per assegnare una cattedra universitaria o un posto da usciere: si varò un bando di concorso costruito su misura per facilitare il successo dei candidati già impiegati nell’ente. E non casualmente gli allora vertici dell’Inps per ben tre volte chiesero direttive e chiarimenti agli allora ministri di Lavoro e Tesoro, Cesare Salvi e Giuliano Amato. Stessa cosa è avvenuta e avviene ogni giorno in questa problematica (nel 2002 erano ancora quasi 40.000) opera di «stabilizzazione» degli Lsu. Certo è che allora come oggi gli Enti previdenziali sono centri di grande potere concreto, e per questo oggetto delle attenzione e degli appetiti dei partiti. Il guaio è che oggi i partiti al governo sono quattro, e gli enti che contano sono tre: l’Inps (pensioni dei privati), l’Inpdap (pensioni dei pubblici) e l’Inail (infortuni). Un’equazione che non è facile risolvere senza scontentare qualcuno. E non è un caso che oggi questi enti siano tutti e tre retti da un Commissario Straordinario. Si è cominciato nel 2002 con l’Inail, il cui vertice venne decapitato a seguito dell’inchiesta in Basilicata sugli immobili. Commissario è l'ex parlamentare socialista Vincenzo Mungari, ora in quota Forza Italia e sponsorizzato da Gianni Letta. Seguì l’Inps: all’indomani della scomparsa del presidente Fabio Trizzino, Roberto Maroni nominò commissario il suo consulente giuridico (e carissimo amico), Gianpaolo Sassi. Poi è toccato all’Inail, dove nonostante le assicurazioni il presidente Rocco Familiari (in quota Udc, componente D’Antoni) è stato sostituito dall’ex Cda Rai Marco Staderini (Udc, componente Casini-Follini). A nulla è servito che Familiari agevolasse la cospicua cartolarizzazione della «cessione del quinto» dei pubblici. A farne le spese è Alleanza Nazionale, che manifesta un crescente malumore. Maroni e Tremonti hanno tentato di accontentare An promettendo due cose: la guida dell’Ipsema (il piccolo ente dei marittimi, del quale l’attuale presidente Gian Maria Fara ha sensibilmente migliorato i conti) che spetterà all’ex deputato Antonio Parlato; la direzione generale dell’Inps, nella persona del direttore generale del disastratissimo Inpdai, Giovanni Sapia. Serviranno ancora diversi mesi, si dice. Anche perché prima di tutto bisognerà che il Carroccio risolva i suoi problemi interni. Uno dei candidati al vertice Inps infatti è Alberto Brambilla, sottosegretario al Welfare e a suo tempo consigliere d’amministrazione dell’ente.
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