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L'autunno dell'occupazione ecco «il lavoro che sarà»

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Venerdì 13 settembre 2002 - Anno 9 - Numero 29

LA QUINTA STAGIONE
Le sette grandi trasformazioni di un mercato che cambia
L'autunno dell'occupazione ecco «il lavoro che sarà»

di Walter Passerini

I l lavoro che verrà, come sarà? Sarà come noi tutti ...
I l lavoro che verrà, come sarà? Sarà come noi tutti vorremo. Anche se la responsabilità maggiore spetta ai decisori politici e sindacali. I rulli di tamburo sono partiti, il tam tam è cominciato. Il combustibile che dà fuoco ai venti di guerra è l’inflazione, che viaggia al 2,3 ben al di sopra dell’inflazione programmata 1,4 e attesa 1,8 . Il lavoro che sarà dipenderà molto dalla battaglia per il recupero del potere d’acquisto dei prossimi rinnovi sindacali. La seconda questione è la crescita. Un conto è parlare di lavoro e di occupazione in una fase economica positiva, un conto è parlarne in una fase di stagnazione. Mentre le stime parlano di crescita superiore al 2 nel 2003, la crescita quest’anno scivola impietosamente sotto l’1 . Il raffreddamento dell’economia, alimentato da molti fattori esogeni, influirà pesantemente sui livelli di occupazione? Speriamo di no.
La terza questione riguarda i provvedimenti sul lavoro. Come cerchiamo di raccontare in queste due pagine, ve ne sono molti che bollono in pentola e altri che si affacceranno presto. L’autunno si presenta come una stagione non solo ricca di conflitti, ma anche di dinamiche e di opportunità ancora da giocare. La speranza è che, a differenza di ciò che è successo nei mesi scorsi, si discuta e si decida in fretta sul combustibile che serve per alimentare il lavoro più che sulla benzina che rischia di riaccendere la guerra dei diritti e dell’articolo 18.
Infine, potrebbe essere questa stagione il momento giusto per rivedere le formule contrattuali. Senza «revanchismi», senza vincitori e vinti, ma per adeguare una contrattazione ormai rituale ai bisogni dei territori, alla produttività delle aziende, alle esigenze dei vecchi e dei nuovi soggetti del mercato del lavoro
CONTRATTI
L’inflazione e i prossimi rinnovi
Suonano i rulli di tamburo per il potere d’acquisto
E’ la prima «tegola» del dopo-vacanze. E già rullano i tamburi di guerra. Gli ultimi dati sull’inflazione e sulla situazione economica più in generale, hanno suscitato subito le reazioni sindacali, compresi coloro che solo nove settimane e mezzo fa avevano sottoscritto il Patto per l’Italia, con un’inflazione programmata all’1,4 , quasi un punto sotto l’inflazione reale 2,3 . Le prime avvisaglie sono arrivate, e anche qualche cannonata, tanto da far preannunciare un autunno davvero piuttosto caldo. Il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro coinvolgerà oltre 6,5 milioni di lavoratori. Ad affilare le armi per primi sono i dipendenti del pubblico impiego, circa 3 milioni di addetti, tra i quali a fare da apripista saranno i 300 mila statali e ministeriali, la cui piattaforma di richieste al tavolo delle trattative verterà su cinque punti: l’ordinamento professionale, la contrattazione integrativa e tre elementi economici, tra recupero del potere d’acquisto degli stipendi, indennità integrativa speciale e indennità di amministrazione. Tra le categorie industriali, i più agguerriti saranno i metalmeccanici, oltre 1,5 milioni di dipendenti, che da sempre fungono da battistrada un po’ per tutti i contratti delle categorie dell’industria. La scadenza del contratto è alla fine di dicembre e, ma non è detto, se i tre sindacati di categoria, Fim, Fiom, Uilm, riusciranno a trovare l’intesa per una piattaforma comune e unica, saranno loro a dare probabilmente il «la» all’autunno caldo.
Anche il settore dei trasporti riprenderà tra pochissimo le trattative. E già stanno partendo i primi pesanti scioperi nel settore. Il rinnovo riguarda 120 mila autoferrotranvieri, il cui contratto è scaduto alla fine dell’anno scorso, e circa 100 mila dipendenti delle ferrovie, il cui contratto è scaduto addirittura quasi tre anni fa. Entro la fine di questo mese, riprenderanno invece le trattative per gli 800 mila dipendenti del settore turismo, che hanno già presentato la loro piattaforma, nella quale sono previsti nuovi aspetti che riguardano le flessibilità e, per la parte economica, una richiesta di aumento salariale di 85 euro al mese. A completare l’esercito dei contratti saranno i dipendenti del commercio un milione , gli assicurativi e i bancari, per la parte normativa, per i quali l’accordo economico della scorsa primavera ha previsto un aumento superiore ai 110 euro al mese.
FORMAZIONE
Il settore «education» nel pantano
Ma istruzione e competenza sono figlie di un dio minore
Si, è ancora la Cenerentola. Nonostante le chiacchiere, i convegni, i proclami, la formazione resta l’ultimo vagone del treno delle riforme e dello sviluppo. Sono tre i gruppi di problemi che abbiamo di fronte: una rivisitazione degli strumenti di ingresso al lavoro, come i contratti di formazione lavoro e i contratti di apprendistato, che accompagnino soprattutto i giovani dotandoli di una reale quota di formazione; una stretta integrazione tra istruzione e formazione, che dia dignità e spazio al secondo canale, alzandone il livello qualitativo e il potere di attrazione, scrollando via tutti i pregiudizi; adottando più decisamente una logica verso la formazione permanente e la formazione continua degna di un Paese avanzato. Dichiarazioni di intenti non ne mancano, quel che manca sono le decisioni e le azioni. Oggi, per esempio, tutti i venti di riforma sono arenati nella diatriba Stato-Regioni per una diversa distribuzione delle competenze. Manca un disegno, oltre che una cabina di regia nazionale, che coordini e ispiri il processo. E ci pare anche che tra ministero del Lavoro e dell’Istruzione non vi sia sufficiente dialogo e concerto.
Inoltre, come ormai suggeriscono gli esperti, è ora di passare a concepire la formazione come un diritto, come il baricentro dei nuovi diritti, anche sindacali. E su questa base innestare provvedimenti specifici. Per esempio favorendo la formazione di chi già lavora; dotando di crediti formativi i giovani, le donne, i tanti atipici, detassando le spese di formazione. Il salto da fare è quello di concepire la formazione come una leva dei destini individuali delle persone, come una dote da assegnare ai singoli individui, grazie alla quale essi possono cambiare le loro strategie e le loro prospettive.
LICENZIAMENTI
I «piccoli» cresceranno?
L’articolo 18 nell’era della guerra dei talenti
Dopo quella dei rinnovi dei contratti di lavoro, è la seconda «miccia» accesa per il prossimo autunno. Su questo punto, riprenderanno le ostilità non solo tra sindacati e Governo, e tra gli stessi sindacati. Come si ricorderà, il Patto per l’Italia venne sottoscritto solo da Cisl e Uil e non dalla Cgil, facendo registrare all’unità sindacale e alla concertazione il punto più basso. Né mancano divisioni trasversali negli stessi schieramenti politici. La questione di fondo che ha fatto registrare la rottura si chiama «articolo 18», vale a dire l’ipotesi di riformare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970 e cancellare, in via sperimentale e temporaneamente, il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, sostituendolo con un’indennità di risarcimento. L’articolo 18 è stato e sarà ancora il «casus belli» delle relazioni sindacali. Anche se per la verità la soluzione trovata nel Patto riduce e disinnesca molto del peso e del potenziale della riforma, perché riguarderebbe soltanto per un periodo di tre anni quelle imprese che assumendo nuovo personale oltrepassassero la «linea del Piave» dei 15 dipendenti. Inoltre, se la misura verrà introdotta, sarà soggetta a un dispositivo di monitoraggio, per una verifica dei suoi effetti sull’occupazione aggiuntiva.
Quando 10 mesi fa venne presentato dal Governo il primo disegno di legge, le proposte di modifica dell’articolo 18 erano tre e riguardavano, oltre al superamento dei 15 dipendenti, che è rimasto, anche l’emersione dal sommerso e la trasformazione dei contratti a termine a tempo indeterminato. L’arco temporale previsto di durata del nuovo provvedimento sarebbe stato di quattro anni.
Ora i disegni di legge sono diventati due. Dal disegno originario l’848 sono state stralciate le norme sulla modifica dell’articolo 18, creando un nuovo disegno di legge l’848 bis , che oltre alla riforma dello Statuto dei lavoratori contiene l’ipotesi di modifica degli ammortizzatori sociali e degli incentivi per l’occupazione. Nel primo disegno di legge 848 resta così un cospicuo pacchetto di norme sulla flessibilità e sul riordino del collocamento, che dovrebbe avere una velocità maggiore dell’altro disegno di legge, l’848 bis, i cui tempi di approvazione, anche per la scottante questione dell’articolo 18, ne sposteranno all’anno prossimo l’entrata in vigore.
FLESSIBILITA’
Le formule in entrata
Le strade che portano a una nuova assunzione
Molte saranno le novità in tema di flessibilità in entrata nel mondo del lavoro contenute nel disegno di legge di riforma e alcune norme riguarderanno anche la «flessibilità» per i disoccupati. Il contratto di lavoro a tempo o interinale è stata la grande novità di questi anni e ha raggiunto una soglia di tutto rispetto in poco tempo, dimostrando di avere ancora grande potenziale di sviluppo. Ma altre ancora saranno le «new entry» della flessibilità. La prima sarà l’introduzione del contratto a chiamata «job on call» . Abortito in modo rocambolesco alla Zanussi, dopo una sonora bocciatura da parte dei lavoratori, ora è al secondo tentativo per mano del Governo sia attraverso un’apposita norma sia coinvolgendo la contrattazione. Questa formula consiste nella disponibilità di un lavoratore a entrare rapidamente e su chiamata nel posto di lavoro per improvvisi picchi di commesse, compensato da un’apposita indennità di chiamata.
Un altro strumento relativamente nuovo sarà la «ripartizione del posto», ovvero il «job sharing» lavoro condiviso . Già sperimentato in alcune realtà, in quanto introdotto in via amministrativa dall’ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, il «job sharing» consiste nell’accordo tra due lavoratori che condividono un certo orario complessivo di lavoro, redistribuendolo tra loro in modo autonomo ed essendo insieme responsabili della prestazione. Altri strumenti riguarderanno invece gli atipici, gli occasionali e i cococo collaboratori coordinati e continuativi . Per gli oltre 2 milioni di collaboratori dovrebbero essere introdotte nuove e maggiori tutele, sia di tipo fiscale che previdenziale, e un vero e proprio riconoscimento giuridico, per evitare abusi e cattive abitudini, come quelle che tendono a mascherare da collaboratori dei dipendenti a tutti gli effetti.
Sempre a proposito di flessibilità, verranno in altro provvedimento introdotte anche norme specifiche per incentivare la ricerca del posto di lavoro da parte dei disoccupati. Da un lato verrà innalzata l’indennità di disoccupazione, dal 40 al 60 dell’ultima retribuzione per i primi sei mesi, per arrivare al 40 nei successivi tre, per scendere al 30 negli ultimi tre mesi. L’indennità durerà un anno. Dopodiché vi saranno sanzioni e disincentivi per chi non ricerca o rifiuta un’offerta di formazione o un posto
COLLOCAMENTO
La concorrenza pubblico-privato
Gli sportelli a cui bussare per trovare il posto

Potrebbe subire una rivoluzione anche il collocamento. Sarebbe ora. Vi entreranno due nuovi soggetti: i privati e gli organismi bilaterali tra sindacati e imprese. La novità più eclatante sarà l’ingresso anche nel collocamento ordinario delle società di lavoro interinale e temporaneo che, in base alla caduta del vincolo dell’oggetto sociale esclusivo ad occuparsi solo di temporaneo, potranno fare collocamento «tout court». Questa «new entry» produrrà senza dubbio degli scossoni nel mercato, di fronte all’inefficienza quasi assoluta dei Servizi pubblici per l’impiego e grazie alla capillare diffusione a livello nazionale. E troverà quale concorrente la seconda «new entry», vale a dire gli organismi misti tra organizzazioni sindacali e imprenditoriali, che entreranno così nel collocamento. La concorrenza con il pubblico, che per la verità non c’è mai stata, subirà quindi un’accelerazione.
Nel nostro Paese si arriverà anche se con una certa lentezza al modello dei «job centre» inglesi, uffici e sportelli pubblici e privati, in cui avere accesso alle informazioni, ai servizi di orientamento, alle opportunità di formazione e di lavoro. E sempre con matrice anglosassone, vedrà il debutto un’altra formula di collocamento, quella del «job leasing». Il che significa che le imprese, per particolari ragioni tecnico-produttive, potranno avvalersi di personale «in affitto» anche a tempo indeterminato da parte di agenzie specializzate.
Tutte queste nuove norme faranno cadere del tutto la legge 1369/60, che da sempre vietava l’intermediazione di manodopera. Quanto agli effetti della rivoluzione del collocamento, avremo modo di vederli. Saranno probabilmente più efficaci di un collocamento pubblico che di fatto non ha mai brillato.
DISOCCUPAZIONE
Come combatterla
I cercatori d’impiego? Giovani, donne e il Sud

Il giro di boa è avvenuto quattro anni fa. Nel 1998, infatti, dopo un lungo periodo di crescita della disoccupazione, che arrivò a sfiorare quota 2,8 milioni, l’esercito dei cercatori di lavoro iniziò a smaltire i suoi effettivi, scendendo nel 2001 sotto la soglia dei 2,3 milioni di unità, a fronte di un esercito di occupati ufficiali che ha superato i 21,5 milioni. La quota di disoccupati resta alta, ma la sua discesa, avvenuta contemporaneamente alla crescita sia dell’occupazione sia dell’offerta ufficiale di lavoro, dimostra che il lavoro non è solo la conseguenza automatica dal buon andamento dell’economia, anche se ciò non guasta, ma il frutto di provvedimenti strutturali. Nel paese delle «tre Italie», la disoccupazione conferma le proprie triadi, sia relative ai soggetti sia ai territori. La disoccupazione riguarda infatti oggi i giovani, le donne e gli «over 50-55» a bassa istruzione e qualificazione; mentre nei territori, accanto a una prima Italia Nord-ovest e a una seconda Italia Nord-est ma anche Sud-est adriatico, fino a Marche e Puglia che aumentano l’occupazione, persiste una terza Italia che arranca e che deve recuperare decenni di disastri sociali il Mezzogiorno .
E’ quindi tenendo conto di queste triadi che devono essere impostati i programmi di sviluppo dell’occupazione, aumentando e migliorando la partecipazione al lavoro soprattutto di questi soggetti e territori, per evitare di abitare in un Paese a due o più velocità. Stridono i raffronti: tra il Trentino che si colloca al 55,5 per tasso di attività è il rapporto tra forze di lavoro, disoccupati compresi, e popolazione con più di 15 anni , l’Italia che è al 48,1 , l’Unione europea al 56 e la Sicilia, che non arriva al 43 ; tra sempre il Trentino, dove la disoccupazione è praticamente inesistente 2,6 e la Calabria, dove sfiora il 26 . In Calabria la disoccupazione femminile supera il 40 , in Sicilia il 34 , in Calabria il 32 , in Lombardia ed Emilia Romagna il 6,5 . Nel solito Trentino il 4,3 .
L’obiettivo è ora quello di raggiungere la quota del 70 di tasso di occupazione entro i prossimi otto anni è il rapporto tra occupati compresi tra i 15 e i 64 anni e la popolazione della stessa fascia di età , così come stabilito nel vertice di Lisbona. Oggi siamo al 55 . Quindici punti pesanti, che richiedono provvedimenti speciali e non più di routine.

IMMIGRAZIONE
Bisogni d’impresa e di famiglia
Colf, badanti, lavoratori al nero, la via dell’integrazione non è la sanatoria
In attesa di vedere i frutti delle due sanatorie in corso, quella che riguarda le colf e le badanti e quella che riguarda i dipendenti al nero, la questione immigrazione è destinata ad accompagnare la nostra vita anche nei prossimi anni. Ciò succederà al di là delle nostre paure e preoccupazioni, perché la spinta di migliaia di persone a lasciare i propri Paesi per cercare fortuna si concilia con i fabbisogni di manodopera delle imprese e, come sappiamo, delle famiglie, e con le questioni più generali della globalizzazione. Vi sono inoltre gravi nubi sull’andamento demografico italiano tra qualche anno mancheranno all’appello milioni di persone e necessità contabili del sistema pensionistico che, con tutta probabilità, accelereranno il fenomeno. Come sempre, le sanatorie esprimono una sorta di impotenza, sono il segno estremo di un’incapacità, più che di un’impossibilità, di governo della questione immigrati, il risultato di una doppia falsa coscienza: quella di agitare paure, anche quando non è necessario la quota di stranieri in Italia è sotto il 3 , molto lontana dalle soglie di popolazione straniera presenti storicamente in Gran Bretagna, Francia, Germania , rischiando però nei fatti, per la rigidità di certi provvedimenti, di aumentare i clandestini e gli irregolari. L’integrazione tra popoli e culture diverse fa parte della storia, al di là del funzionalismo economico, che dice che dobbiamo accettare una quota di immigrati, perché ci servono, nelle case e nelle fabbriche. Tanto vale provare a prenderne atto e a pensare a soluzioni realistiche ed efficaci, che non siano la riproposizione del solo ordine pubblico.
Come si può migliorare il contributo al lavoro degli extracomunitari? E in che modo la leva della formazione può essere utilizzata? E’ possibile avviare un processo di scambio e di collaborazione almeno con alcuni Paesi, in modo da garantire flussi programmati e anche più professionalizzati e competenti? Ed è realistico pensare ad azioni formative per stranieri per favorire, dopo un periodo di addestramento, un loro rientro? Sono temi che avremo davanti nei prossimi mesi. Molti dei problemi si saneranno col tempo. Soprattutto grazie al contributo delle seconde generazioni. Quel che è certo è che non possiamo considerare gli stranieri solo come manodopera, magari a basso costo, chiedendo loro di lavorare e di esistere dalle 8 alle 18 e di sparire subito dopo nel nulla.

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