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Ires-Cgil: Dal telelavoro 800mila posti

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Mercoledì 1 Novembre 2000
italia - lavoro
Rapporto Ires-Cgil sulla net-economy Dal telelavoro 800mila posti

ROMA Sono le tute blu della new economy, il gradino più basso di chi lavora nelle imprese della rete. I call center sono l’approdo di giovani e giovanissimi, di chi prova la prima esperienza di lavoro e che, anche con titoli di studio alti, accetta retribuzioni basse. Non sono però tutti uguali quelli che rispondono al telefono: un conto sono quelli che lavorano direttamente per l’impresa di telecomunicazioni, altro conto invece è chi è inserito in un servizio affidato in outsourcing. È questa la vera linea di confine, che vuol dire soprattutto una differenza di inquadramento contrattuale ma, anche, di salario. Sono tutte caratteristiche che emergono con evidenza dalla ricerca dell’Ires-Cgil presentata ieri a Roma sulle trasformazioni tecnologiche e i rapporti di lavoro.

Uno spunto anche per il sindacato che non riesce ancora a mettere salde radici in questo mondo. Gli oltre 50mila lavoratori dei call center chiedono al sindacato più battaglie sulla retribuzione che sulla sicurezza del posto nonostante, poi, nei luoghi di lavoro il tasso di iscritti sia pressocché nullo. Eppure chi lavora per le aziende "esterne" non ha un posto fisso, quindi, avverte il peso della precarietà che contrattualmente si traduce soprattutto in rapporti di consulenza e di collaborazione coordinatata e continuativa e in stipendi che oscillano dal milione al milione e mezzo. La musica cambia ma non molto per i dipendenti di imprese di telecomunicazioni: qui i lavoratori sono assunti stabilmente (61%) e la busta paga parte da un minimo di un milione e mezzo fino ai due milioni. L’età media di chi risponde al telefono è di 29 anni, il livello di scolarizzazione è abbastanza elevato, oltre l’80% ha un diploma e il 17,3% ha una laurea.

I call center cresceranno ancora: secondo la ricerca dell’Ires se nel 1996 se ne contavano 180, nel 1998 erano già arrivati a 760, per un totale di 21.400 postazioni mentre il fatturato è passato dai circa 80 miliardi del 1996 ai circa 200 del 1999. Le ultime stime indicano in 50-60mila gli addetti in Italia, mentre in Europa avrebbero raggiunto un milione di unità. Entro il 2001 le postazioni saranno circa 36mila con un’occupazione di almeno 70-80mila unità.

Molti dei lavoratori di call center telelavorano ma non sono i soli. I telelavoratori in Italia sono poco meno di 800mila (nel ’94 erano 97mila) con un’incidenza sulla forza lavoro che è passata dallo 0,5% dei primi anni ’90 al 3,6% di oggi. «Da parte nostra — ha commentato Walter Cerfeda, segretario confederale Cgil — i primi risultati dell’applicazione del contratto delle tlc, ci lascia ben sperare, in un mercato assolutamente ancora frastagliato e inesplorato. Siamo perplessi sul fatto che Confindustria ancora non ha indicato un’associazione di categoria per poter trattare i problemi di questi lavoratori. È un atteggiamento conservatore che ci obbliga a fare gli accordi a livello confederale».

Se per il sindacato italiano il contratto delle telecomunicazioni è un successo, c’è comunque l’esigenza di rafforzare la presenza nei luoghi di lavoro della net-economy che in Italia è scarsa, ma lo è ancora di più nel resto del mondo. «Il punto è che altrove i contratti si applicano solo agli iscritti al sindacato — ha concluso Agostino Megale, presidente Ires — e questo vuol dire essere tagliati fuori. Credo sia necessario un coordinamento a livello europeo e internazionale che consenta di affermare diritti come quello di informazione e di partecipazione nei processi di outsourcing».

Lina Palmerini

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