Intervista a Maroni: "Nel Documento niente flessibilità
è materia da concertazione"
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"Nel Documento niente flessibilità è materia da concertazione" Il ministro per il Welfare: il Dpef con il tasso di occupazione al 63% l'intervista
ROMA - «Non ho voluto mettere la parola flessibilità nel Dpef, né in uscita né in entrata. Dovrà essere uno dei temi del negoziato con le parti sociali». Roberto Maroni, ministro del Welfare, schiera il governo a difesa del dialogo e contro le forzature. «Di garanzie e riforme si parlerà al tavolo della verifica della previdenza in autunno», spiega e osserva: «La concertazione è un termine che non amo, perché sono un musicista e so che funziona solo se tutti sono intonati, ma nel Dpef ho voluto ribadire che bisognerà seguire questo metodo secondo i protocolli d'intesa firmati dalle parti sociali». Che altro ha scritto nel "suo" Dpef? «Le tre parti che mi riguardano sono le politiche sociali, la riforma del sistema previdenziale e la riforma mercato del lavoro». Obiettivi? «Il nostro obiettivo è l'aumento del tasso di occupazione dal nostro 53% al 63% della media europea. Dobbiamo arrivare al 70 per cento entro il 2010». Con quali strumenti? «Da una parte con l'emersione del sommerso e dall'altra con una serie di misure per garantire l'entrata nel mercato del lavoro, come scriviamo nel Dpef, "dei gruppi a rischio di esclusione sociale", degli inoccupati, dei disoccupati, degli espulsi». In concreto? «In concreto abbiamo adottato la direttiva sul lavoro a tempo parziale e poi con l'invenzione e la sperimentazione di nuove tipologie contrattuali». Ad esempio? «Abbiamo intenzione di togliere il vincolo dell'oggetto sociale esclusivo per gli intermediari privati di lavoro». Significa che si va verso un sistema di collocamento privatizzato? «Sì, le società di lavoro interinale che oggi possono intermediare solo il lavoro interinale potranno intermediare ogni tipo di contratto. Insomma, l'intermediazione privata sarà senza vincoli». C'è poi la parte previdenziale e assistenziale. «Ci impegniamo nella riforma degli ammortizzatori sociali». Per i lavoratori immigrati? «Il lavoro legato all'immigrazione è un punto nell'agenda delle riforme da fare». Si è detto che il Dpef dovrebbe contenere anche una modifica dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il vice ministro dell'Economia Baldassarri ha smentito. E lei? «Non solo non si parla di modifica dell'articolo 18 ma io non ho voluto mettere la parola flessibilità, sia in uscita sia in entrata. E' un tema delicato e deve essere nell'agenda del negoziato nelle parti sociali. Mi sembra inutile anticipare nel Dpef provvedimenti che riguardano la riforma dello Statuto dei lavoratori, la decontribuzione delle bustepaga, le garanzie: sono tutte cose che si intrecciano con l'autonomia negoziale delle parti». Come si muoverà? «Sto definendo un'agenda sulle questioni da discutere. La verifica delle pensioni, in autunno, sarà solo uno degli argomenti che saranno trattati: gli altri sono la riforma dei protocolli di concertazione, i fondi pensione, il Tfr. E la flessibilità in uscita dovrà essere trattata senza tabù». Ma la concertazione tra governo e parti sociali andrà avanti? «Preferisco parlare di dialogo sociale: la Cgil, ad esempio, non era d'accordo sulla direttiva sui contratti, ma l'abbiamo adottata ugualmente. Ciò non significa che questo metodo non si debba perseguire e io stesso ho voluto specificare nella parte finale del Dpef, che le linee di intervento del governo "presuppongono l'attuazione della concertazione con le parti sociali prevista dai protocolli d'intesa"». (r.p.)
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