Intervento. Farmacie privatizzate, in campo i finti paladini della concorrenza
sabato 14 aprile 2001
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Intervento
 Farmacie privatizzate, in campo i finti paladini della concorrenza di Luca G.Radicati Di Brozolo*
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Facendo leva sulla recente circolare, e lamentando in particolare conseguenze sulla qualità del servizio e sulla concorrenza, gli avversari delle privatizzazioni delle farmacie comunali postulano un contrasto con le regole che vieterebbero ai privati di essere proprietari di più di una farmacia e di operare tramite società di capitale. Questa posizione trascura alcuni elementi fondamentali del quadro di riferimento giuridico. In ogni comune vi è un'impresa che opera in deroga alle regole sui farmacisti individuali, non essendo di proprietà di un farmacista iscritto all'ordine e gestendo più di una farmacia. Si tratta dell'impresa di proprietà del comune. La deroga è ovviamente giustificata dalle speciali funzioni di servizio pubblico affidate a tale impresa. In che cosa la privatizzazione modificherebbe la situazione? In nulla: le funzioni affidate all'impresa rimarrebbero le stesse, come evidenziato dai vincoli e dagli obblighi a suo carico derivanti dai contratti di servizi con il Comune. L'unica differenza sarebbe la qualità dell'azionista. Delle due l'una: o la deroga era già vietata prima (ma nessuno l'ha mai sostenuto) o lo diventerebbe solo per questa differenza. La seconda ipotesi sarebbe però contraria ai più elementari principi di diritto comunitario, il quale non consente di riservare diritti speciali ai soli soggetti pubblici. Dunque, fintantoché si riterrà necessario che sia reso disponibile il servizio pubblico nella sua forma attuale (che richiede una catena di farmacie che, intuitivamente, sono in grado di offrire più di quanto non possa offrire il farmacista singolo) esso potrà legittimamente essere reso in deroga alle regole generali, a prescindere dalla natura del proprietario dell'impresa. Non ha cittadinanza in diritto comunitario la presunzione che il soggetto pubblico svolgerebbe meglio del privato il servizio di interesse generale. In concreto dovrebbe valere l'opposto: un soggetto specializzato - sottoposto di un regime di vincoli e controlli - sarebbe meglio del Comune in grado di offrire un servizio qualificato. Rimane l'obiezione attinente alla distorsione della concorrenza a danno dei farmacisti individuali, vincolati dalle regole tradizionali che impedirebbero solo a loro (e non al soggetto incaricato del servizio pubblico) di essere proprietari di più farmacie e di operare in forma societaria. È facile ribattere che, quand'anche ne risultasse una distorsione della concorrenza, questa prescinderebbe dalla privatizzazione, visto che nulla cambia nelle prerogative della società. In ogni caso, posto che la situazione particolare dell'impresa è funzionanate allo svolgimento del servizio pubblico, l'eventuale deroga di concorrenza sarebbe giustificata ai sensi dell'articolo 82, paragrafo 2, de Trattato CE. Vi è un'unica obiezione , ancora più radicale. Proprio le regole sui farmacisti privati sono illegittime ai sensi del diritto comunitario: sono infatti esse a limitare la libertà economica senza giustificazione (prova ne è, per esempio, che al requisito sulla necessaria coincidenza tra proprietà della farmacia e iscizione all'albo si deroga senza esitazione quando il proprietario è figlio di un farmacista!). Queste regole non possono quindi certo essere assunte a parametro di valutazione della legittimità delle privatizzazioni. Anzi, per via del contrasto con il diritto comunitario esse potrebbero facilmente essere contestate di fronte ai giudici e disapplicate, con conseguente liberalizzazione del settore a banaficio degli stessi farmacisti individuali. È paradossale che le regole di concorrenza vengano invocate per impedire l'introduzione dell'efficienza che consegue alla privatizzazione e non invece per eliminare i lacci da cui i farmacisti si dicono oppressi. Anche per questo è irrilevante il riferimento al regime dei farmacisti individuali contenuto nella circolare ministeriale, comunque ià di per sé mal redatta e priva di qualsiasi valore giuridico.
*Ordinario all'Università Cattolica di Milano
Sabato 14 aprile 2001
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