Indesit rompe con i sindacati. E insegue il «modello Pomigliano»
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Non c'è più dialogo tra la Indesit e il sindacato. A causa di una nuova protesta degli operai, che ha visto il blocco dei magazzini dello stabilimento di Brembate, l'azienda ha deciso di annullare l'incontro tra le parti già programmato per il 3 settembre, in cui si sarebbe dovuto discutere sul piano di investimenti e consolidamento delle attività produttive in Italia, il cosiddetto «Piano industriale Italia Indesit».
Come riferisce l'amministratore delegato di Indesit, Marco Milani, «il sindacato non ha rispettato l'accordo stabilito lo scorso 15 luglio al tavolo del ministero dello Sviluppo economico» quando, in prospettiva del confronto autunnale, si era presa la decisione di sospendere qualsiasi azione di protesta.
Invece, la Fiom e la Fim hanno indetto il presidio mattutino davanti ai cancelli del magazzino, a cui hanno partecipato 670 operai, per protestare contro l'introduzione di una settimana di cassa integrazione e delle ferie forzate tra quindici giorni, ovvero la chiusura collettiva. Eppure per l'Indesit oggi il clima sembra più roseo: «Una gestione prussiana dei costi ha permesso il ritorno al profitto, le consegne ai negozi sono aumentate del 4% e per l'intero anno si stima che il mercato del bianco salga del 3%», scriveva il 30 luglio il Sole 24 Ore citando dati aziendali.
Solo poche settimane fa i sindacati erano riusciti a strappare un accordo di compromesso per evitare il rischio che gli operai venissero messi in libertà - causa magazzini pieni - e ricominciare a lavorare garantendo la fuoriuscita di un quantitativo di elettrodomestici (lavatrici) pari a quelli prodotti. Il tavolo di confronto era stato convocato dopo una serie di agitazioni sindacali che avevano contraddistinto gli stabilimenti nel bergamasco e nel trevigiano perché, a quanto pare, la società della famiglia Merloni sarebbe stata intenzionata ad accorpare alcuni siti di produzione per ragioni di «competitività sostenibile» - sulla falsa riga del Pomigliano style - portando così alla chiusura delle fabbriche di Brembate e Refrontolo, con la conseguente perdita del posto di lavoro per più di cinquecento operai.
Non solo, i lavoratori rifiutano di sottostare al diktat aziendale che vorrebbe imporre la revisione del contratto, avere mano libera su orari, pause e ferie, oltre alla disdetta degli accordi sulle indennità di turno che garantiscono condizioni migliori rispetto al contratto nazionale. «Tutte decisioni unilaterali che l'azienda pensa di non dover discutere col sindacato - Marchionne docet - ma di dare solo tramite comunicato», afferma Mirco Rota della Fiom di Bergamo.
Dunque si profila un agosto rovente per gli operai dell'Indesit, un mese in cui i presidi continueranno «anche con i magazzini chiusi». Il sindacato rivendica i suoi diritti di contrattazione con l'azienda, la quale «anziché cancellare gli appuntamenti degli incontri, dovrebbe invece aprire una vera e propria discussione con le organizzazioni dei lavoratori per stabilire insieme i passi da affrontare nel prossimo futuro».