Il tranquillo regno della lavatrice scopre chiusure e licenziamenti
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Il ritratto di Aristide Merloni domina la stanza del sindaco di Fabriano che s’affaccia sulla splendida fontana Sturinalto. Anche il primo cittadino Roberto Sorci, un ex democristiano forlaniano traghettato fino al pd, è un dipendente dei Merloni, lavora alla Indesit, la multinazionale degli elettrodomestici guidata da Vittorio, ex presidente della Confindustria. Se c’è una company town, un luogo dove una dinastia imprenditoriale si identifica con una comunità, questa è Fabriano. Qui il fondatore Aristide mise le solide basi del gruppo (Ariston, in origine), portandolo al successo e miscelando la sua funzione industriale con il ruolo di amministratore, di sindaco. Le sue intuizioni e la sua eredità imprenditoriale sono divise tra la Indesit, la Merloni Termosanitari di Francesco già ministro dei lavori pubblici negli anni Novanta e la Antonio Merloni, industria del “bianco” finita sul lastrico. A prima vista si potrebbe dire che Fabriano, 31.740 abitanti suddivisi in 33 frazioni, è un’isola felice, nonostante tutto, se il sindaco, dotato di una lingua tagliente, non cancellasse l’impressione con la sua analisi:«Veniamo da oltre quarant’anni di sviluppo continuo, siamo un caso studiato dalle università, questa era una terra di emigrazione, io stesso sono nato in Belgio, ma grazie a industriali come Merloni e ai sacrifici della nostra gente abbiamo potuto crescere e vivere bene. Ma oggi siamo nei guai, siamo in pericolo. La crisi sta indebolendo il tessuto sociale, oltre a disarticolare quello produttivo. E in più le scelte politiche in materia di lavoro e impresa stanno produce danni enormi». Ad esempio? Il sindaco si scalda:«La più grande idiozia è il lavoro interinale, il precariato istituzionalizzato. Io volevo tassare le agenzie interinali, lo farei anche oggi. Sa cosa succede? Qui sono presenti cittadini di ben 72 nazioni diverse, mai avuto un problema: la gente accorreva perché c’era lavoro, le agenzie rastrellavano pure gli appartamenti da affittare e hanno rovinato il mercato della casa perché non si possono chiedere 400, 600 euro al mese a un operaio, magari straniero, che ne guadagna 900 o 1000. E ora che questi lavoratori non hanno lavoro dove li mettiamo, come facciamo a garantire un reddito, una casa?». La gente è abituata a rimboccarsi le maniche, a non lamentarsi. Per cultura e consuetudine i problemi si affrontano e i guai, se ci sono, si tengono in famiglia. Verso lo stato, tuttavia, si nota quel fastidio crescente da parte di chi ritiene di aver qualche diritto da esercitare. I collegamenti stradali, ad esempio, sono un disastro, anche se siamo in uno dei centri industriali più forti del paese. La “nuova” Pedemontana, che dovrebbe collegare i comuni della zona, è stata avviata 43 anni fa e non è finita, sembra la Salerno-Reggio Calabria. Il progetto Quadrilatero, la nuova rete di collegamento per le regioni del centro italia, è stato mille volte annunciato, ma non ci sono i soldi. Eppure i cantieri potrebbero occupare un migliaio di addetti. Lino Zingaretti, segretario della locale Camera del lavoro, spiega: «La situazione sociale è diventata molto preoccupante perché nonci sono nuove iniziative imprenditoriali, qui una volta le aziende si rubavano gli operai, venivano dai paesi vicini a lavorare in fabbrica, ma se oggi chiude un’azienda non ci sono alternative di occupazione». Il problema più grave è la Antonio Merloni, produttrice di elettrodomestici, finita sotto la tutela della “legge Marzano”. Questa Merloni ha sempre svolto un lavoro da terzista per altre grandi imprese, produceva, ad esempio, le lavatrici che poi venivano vendute con altri marchi. Mentre la Indesit di Vittorio ha conquistato il secondo posto di Europa con prodotti di alta gamma, la Merloni del fratello Antonio ha giocato più in basso: per molti anni è andata bene, ma poi sono arrivati concorrenti feroci, come la Turchia, che producono a costi estremamente bassi. Così l’azienda, dopo aver sbagliato alcuni investimenti compresa la costruzione di una fabbrica in Ucraina mai decollata, è rimasta senza fiato. Il risultato:1200 lavoratori in cassa integrazione, un blocco che colpisce un indotto di altri 7000-8000 addetti nella zona. I dipendenti della A.Merloni presidiano le fabbriche dal 14 ottobre 2008. Davanti ai cancelli dello stabilimento c’è un grande tendone bianco, il tetto è bucato per far passare il tubo della stufa. Come se non bastassero tutti guai, ha ripreso a nevicare e fa freddo. I lavoratori resistono e fanno i turni, anche se è sempre più faticoso. Andrea Giacobelli, 52 anni, racconta: «Sono stato assunto nel 1995 dopo aver lavoratori vent’anni nei cantieri navali di Ancona. Nonso doveandremo a finire, se non ci sarà un vero accordo di programma per avviare nuove produzioni, con altre idee e altri imprenditori, qui finisce male. La crisi c’è, ma noi paghiamo anche gravi errori del passato. Magari uno potrebbe pensare che gli altri fratelli Merloni possono correre in soccorso, ma ognuno va per i fatti suoi». Siccome la politica non è mai disgiunta dall’impresa da queste parti, va segnalato che il capo del personale della A.Merloni è Luigi Viventi, consigliere regionale Udc.Un emergente, raccontano, anche se non ancora famoso come Maria Paola Merloni, ramo Indesit,parlamentare del pd, che litigò con alcuni suoi colleghi quando l’azienda voleva chiudere lo stabilimento di None (poi ristrutturato e ridimensionato), e il senatore del pdl Francesco Casoli, proprietario di Elica, leader delle cappe. Andrea Cocco, segretario provinciale della Fim-Cisl, è perplesso sulla capacità della politica di incidere: «Assistiamo alle sfilate bipartisan dei politici, le elezioni moltiplicano le presenze, ma questa crisi è iniziata da quasi due anni e non si vedono progetti, iniziative concrete e coerenti. Qui i lavoratori si sono sempre comportati bene, hanno prodotto profitti per le aziende e ricchezza per il Paese, ora hanno diritto a un aiuto». Roberta Gianni, 36 anni, lavora in fabbrica da 20. È accompagnata dal fedele Ski, «cane metalmeccanico »:«Stavo alle presse, una volta qui dentro le donne non le prendevano. La crisi ha cambiato tutto, siamo sempre stati bene sul lavoro,maora molti lavoratori sono scomparsi, non si fanno vedere. Qualcuno prova a risolvere questa situazione da solo, ma penso che solo restando uniti possiamo fare qualcosa. Io non mi vedo da un’altra parte, ho sempre lavorato in fabbrica, non ho titoli di studio, cosa posso fare?». Si beveun caffè, si sfogliano i giornali, mentre continua a nevicare sulla tenda. Giulio Petrelli, 46 anni, operaio, si interroga sul suo destino: «Sono di Roma, 16 anni fa ho fatto domanda alla A.Merloni e mi hanno assunto subito. Mi sono trasferito, ho messo su casa e famiglia. Ma ora se perdo il lavoro mi tocca ricominciare dall’inizio». Ha ragione il sindaco: Fabriano non è più in paradisoIl tranquillo regno della lavatrice scopre chiusure e licenziamenti