Il Tfr esige il pagamento immediato

Cassazione e lavoro - L'indennità deve essere versata quando il dipendente lascia l'azienda
Il Tfr esige il pagamento immediato
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(NOSTRO SERVIZIO)
ROMA - Calcolatrice alla mano e contante pronto quando il lavoratore lascia l'azienda. L'imprenditore è tenuto a corrispondere il trattamento di fine rapporto nell'immediatezza della cessazione del rapporto. Se così non è, paga anche interessi e rivalutazione sulla somma, per ogni giorno di ritardo. Interpretazione rigida della Corte di cassazione (sentenza 4822 del 4 aprile) sull'articolo 2120 del Codice civile, la norma che disciplina l'indennità dovuta ai dipendenti che salutano definitivamente il loro vecchio datore. Il codice recita: «in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore ha diritto a un trattamento di fine rapporto». Per la Corte una simile dicitura non lascia dubbi sul fatto che l'obbligazione prevista nasca nel momento esatto in cui il rapporto si conclude. Perciò, il giorno che il dipendente dice addio al suo posto di lavoro è lo stesso in cui dovrebbe intascare la somma accumulata negli anni di fatica. Da quel preciso istante l'ex dipendente diventa creditore dell'azienda. L'ulteriore conferma, cioè, del suo diritto a chiedere in qualsiasi momento il pagamento di quanto gli è dovuto. Se anche fosse vero, infatti, che l'articolo 2120 non indica con esattezza la data di erogazione del Tfr, si potrebbe invocare un'altra norma del Codice civile a sostegno della pretesa del dipendente: l'articolo 1183. Quest'ultimo stabilisce che «se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente». Circondando di una palizzata giuridica così solida il proprio ragionamento, la Corte non lascia molto margine di "interferenza" agli accordi di categoria. Con la decisione, nello specifico, la Cassazione ha respinto il ricorso della Fiat Auto Spa che sosteneva di non aver potuto liquidare subito a un suo ex dipendente il dovuto perché era stato necessario effettuare i calcoli delle variazioni dell'indice Istat, maturati nel mese precedente la risoluzione del contratto. L'azienda, poi, sperava che i giudici potessero rileggere in un'altra ottica l'articolo 26 del contratto nazionale dei metalmeccanici privati, nel punto in cui dispone il pagamento del Tfr «all'atto della risoluzione del rapporto». Niente da fare, i giudici non si sono mossi dalle loro posizioni che si sono addirittura irrigidite rispetto a un'analoga vicenda, decisa poche settimane prima. Nella sentenza 4222 del 25 marzo, infatti, la Cassazione aveva visto sempre contrapposte la Fiat e un ex dipendente che reclamava il diritto agli interessi per il ritardo di quaranta giorni (lo stesso tempo dell'altro) nel pagamento di quanto gli spettava. In questo caso, però, il Collegio decidente ha ritenuto opportuno circoscrivere la questione alla sola categoria dei metalmeccanici, visto che si è determinato a dare ragione al lavoratore, esclusivamente in base all'interpretazione del citato articolo 26 del contratto nazionale. In relazione alla regola di carattere generale, era passato, invece, il principio senz'altro più blando in base al quale il Tfr produce rivalutazione e interessi legali dalla cessazione del rapporto, «purché a tale data possa essere stato determinato e, perciò, sia divenuto esigibile». Il trattamento - aveva precisato la Corte - «è un obbligo del datore di lavoro, condizionato al fatto che egli a tale data sia a conoscenza di tutti gli elementi di calcolo che lo compongono». Nella pronuncia più recente (la 4822 di prossima pubblicazione su «Guida Normativa»), a quanto pare, la sezione Lavoro si è lasciata prendere dalla teoria e ha siglato un principio discutibile nella pratica. Dal punto di vista tecnico-giuridico il ragionamento di legittimità non fa una piega, ma dà una spallata alla consolidata consuetudine degli imprenditori di concedersi un "certo margine di calcolo". Beatrice Dalia Sabato 06 Aprile 2002
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