4/6/2004 ore: 11:44

Il rilancio del dialogo seduce i poli

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    4 Giugno 2004


    Ma il rilancio del dialogo seduce i poli
    Follini: aperta una fase nuova. Fassino: necessari obiettivi condivisi

    analisi
    Francesco Manacorda
    inviato a LECCO

    «QUEL che è certo è che questa Confindustria non è più collaterale, siamo entrati in una fase nuova. Se il nuovo corso è meglio o peggio del vecchio? Io non dò voti ai presidenti degli industriali passati o presenti, ma dico solo alla maggioranza che il motto non è più “molti nemici molto onore”, perchè per fare le riforme servono amici invece che nemici».


    Marco Follini, segretario dell’Udc, spiega così la sua posizione nei confronti della nuova Confindustria subito dopo il faccia a faccia con il segretario dei Ds Piero Fassino davanti alla platea dell’Unione industriale di Lecco. Per un’ora Fassino e Follini si affrontano - ma è un confronto, non uno scontro - sulle priorità del paese e sulla possibilità di riallacciare quel dialogo sociale e politico che Luca Cordero di Montezemolo ha rilanciato una settimana fa come metodo di lavoro. E alla fine, dopo che anche Montezemolo ha fatto il suo discorso citando ecumenicamente più volte entrambi i segretari, anche dall’entourage di Fassino arriva la benedizione: «E’ una settimana che con Montezemolo fanno un gioco di sponda, anche se non certo concordato, nelle loro dichiarazioni. Del resto, come ha spiegato lo stesso Fassino sono due anni che diciamo le cose che dice anche il presidente di Confindustria». L’interesse con cui di Ds guardano il nuovo corso di viale dell’Astronomia, assicurano, va ben oltre la fase elettorale e punta a cercare, oltre a una visione comune dei problemi italiani, anche una possibile strategia condivisa sulle soluzioni.


    L’inevitabile paradosso, insomma, è che se Montezemolo si sgola a ripetere da qualche giorno a questa parte che «Confindustria non fa politica», chiarisce come ha fatto ieri che con i partiti «parlerà dopo il 14 giugno» per non essere strumentalizzato, e rifugge dalle interpretazioni che danno il nuovo corso degli industriali come elemento centrale di un ipotetico asse che da un lato arriva fino al Governatore della Banca d’Italia e dall’altro apre ai sindacati, la politica non si lascia invece sfuggire occasione per lanciare messaggi e cercare contatti con una Confindustria che proprio come soggetto autonomo ha riacquistato di sicuro un peso politico.


    Così Fassino di fronte alla platea lecchese non si discosta certo dall’ortodossia confindustriale quando dice che «le imprese devono tornare in un contesto favorevole alla crescita», e snocciola le quattro priorità su cui dovrebbero puntare le politiche pubbliche, «visto che l’impresa da sola non può muovere quelle leve»: investimenti in ricerca, infrastrutture, formazione e internazionalizzazione delle imprese. Il tutto, per tirare in ballo Berlusconi e Tremonti, «usando anche la leva fiscale, ma come leva e non come obiettivo. E’ illusorio e velletario pensare di investire di più e poi proporre sgravi fiscali generalizzati».


    Dove i due segretari si spingono più avanti è però proprio sul tema del dialogo, della possibilità di rimettere assieme le forze politiche su grandi obiettivi condivisi. «Come accadde nel ‘96 con l’ingresso nell’euro», ricorda Fassino. «Sì, con i contribuenti che hanno pagato la tassa per l’Europa portando al massimo la condivisione», lo punzecchia Follini. Ma, passato a parte, il segretario dei Ds propone di mettere «in cima all’agenda politica la creazione di un terreno per un nuovo grande patto sociale». Questa volta al centro ci dovrebbero essere le debolezze strutturali dell’Italia, ma anche «una politica redistributiva, che di sicuro è un pezzo di una nuova politica sociale». Anche per Follini «dobbiamo cercare la quadratura del cerchio tra riforme e consenso» e in questo quadro «accettiamo serenamente che si siano persone e ruoli anche non legati alla politica». Ma per poter trovare intese allargate, dice ancora Fassino, bisogna anche abbassare i toni: «Se io mi trovo ogni giorno Berlusconi e Tremonti che dicono: “Non sapete che distastro abbiamo ereditato” e poi sentiamo qui dalla presidente dell’Unione industriale di Lecco che non c’è nessun disastro ereditato, questo non crea certo un clima favorevole al dialogo. L’idea che ci voglia sempre un nemico su cui scaricare la clava non ci porta da nessuna parte».

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