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Il Manifesto del Partito Democratico (1)
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Pagina 11 - Commenti Il Manifesto del Partito Democratico Un’Italia più libera, più giusta, più prospera Noi, i democratici, amiamo l’Italia. Amiamo la ricca umanità della sua gente; il suo patrimonio ineguagliabile di storia, arte e cultura; l’intreccio di splendide città, di magnifici ambienti naturali e paesaggi che da secoli attrae viaggiatori stranieri. Amiamo il senso profondo di ospitalità e di solidarietà degli italiani, la loro attenzione alla qualità della vita, la loro straordinaria capacità di produrre cose che piacciono al mondo. Noi democratici abbiamo fiducia nell’Italia. Perché è un paese vitale, creativo, operoso, pervaso da un diffuso spirito d’intraprendenza. Un paese che ha contribuito alla prosperità di molte altre nazioni, attraverso l’intelligenza e la tenacia di tanti nostri concittadini. E crediamo che l’Italia possa farcela a stare al ritmo di un mondo che cambia sempre più in fretta. Siamo convinti che saprà mantenere e migliorare i suoi livelli di vita, se non coltiverà la pretesa illusoria di serrare la porta o di chiudere gli occhi di fronte alle sfide globali, se accetterà di affrontarle insieme all’Europa, se riuscirà a ritrovare slancio, coesione e fiducia. Ma l’Italia di oggi non è all’altezza delle sue ambizioni e delle sue possibilità. È un paese bloccato, smarrito, che rischia il declino. Il senso civico appare inaridito e il rispetto della legalità è troppe volte umiliato. La classe dirigente è terribilmente invecchiata e quasi esclusivamente maschile. Le donne sono ancora in larga parte escluse dai luoghi della rappresentanza politica. I giovani si scontrano con rendite e privilegi nelle imprese e nelle professioni, nella scuola, nell’università e nella ricerca, nella politica e nella pubblica amministrazione. Guardano con preoccupazione al futuro e faticano a costruirsi una vita autonoma. Anche per questo, siamo un paese che fa pochi figli. Avvertiamo i segni di un pessimismo diffuso che riguarda la stessa identità dell’Italia come nazione. L’Italia rischia di tornare ad essere una «espressione geografica», divisa al suo interno tra aree forti, integrate in Europa, ed aree marginali e dipendenti; tra ceti capaci di competere con successo nel mondo globale e vasti strati sociali in sofferenza, di nuovo in lotta con la povertà. A sua volta, la politica è frammentata e rissosa. Si rivela troppo spesso debole nei confronti degli interessi forti ed incapace di svolgere una funzione nazionale. Piuttosto che aiutare l’Italia a rimettersi in moto tutta insieme, finisce per rappresentare o amplificare i particolarismi, attraverso partiti al tempo stesso troppo fragili e troppo invadenti. Diventa concreto così il rischio che si affermino leader populisti, e che nella società prevalgano pulsioni contrarie alla democrazia. I problemi italiani si collocano d’altro canto in uno scenario più ampio. La democrazia ha vinto i totalitarismi del secolo scorso, ma deve oggi far fronte a sfide di prima grandezza. È spesso prigioniera degli interessi consolidati, più che interprete delle speranze dei deboli. I partiti faticano un po’ ovunque a promuovere la partecipazione e a selezionare una classe dirigente credibile, capace di guardare lontano. Lo sviluppo tecnologico, l’intensificarsi degli scambi e delle comunicazioni rendono la nostra vita più dinamica e più ricca, ci rendono più aperti, ci fanno vivere meglio e più a lungo, accrescono la varietà delle cono- scenze a cui possiamo accedere, consentono a un numero crescente di persone, soprattutto tra i giovani, di sentirsi e di essere cittadini del mondo. E cittadini più informati, educati al dialogo con persone di altre culture, costituiscono una preziosa risorsa contro i rischi ricorrenti di chiusure e intolleranze. La democrazia rimane però per lo più relegata nei confini nazionali ed è quindi debole di fronte a fenomeni di dimensione globale come il drammatico deterioramento dell’ambiente e del clima, il terrorismo e i conflitti internazionali, dinamiche demografiche squilibrate, flussi migratori difficilmente controllabili, grandi disuguaglianze tra diverse aree del mondo, abusive ingerenze di interessi econo- mici che minano la sovranità di paesi deboli e ne ostacolano lo sviluppo economico e civile. Il XX secolo, insieme a tante straordinarie conquiste, ci ha consegnato un modello di sviluppo che condanna milioni di persone e intere aree del pianeta alla povertà e che, se non subirà modifiche radicali, renderà la terra invivibile. Un modello di sviluppo che compromette la libertà delle nuove generazioni e su cui dunque la politica deve intervenire. Di fronte a sfide così impegnative, tutte le tradizionali famiglie politiche del centrosinistra europeo faticano a trovare, da sole, risposte adeguate. Solo da una comune ricerca può nascere quel pensiero nuovo di cui abbiamo bisogno per capire e governare i grandi cambiamenti nei quali siamo immersi. È per questo che vogliamo costruire un partito nuovo, di donne e di uomini, che superi definitivamente le barriere ideologiche che nel secolo scorso hanno diviso le forze riformatrici e aiuti l’Italia a guardare con fiducia al secolo che è appena iniziato. Con il Partito democratico intendiamo portare a compimento un percorso iniziato da più di dieci anni, con la feconda intuizione dell’Ulivo. Vogliamo anche contribuire a rinnovare la politica europea, dando vita, con il Pse e le altre componenti riformiste, ad un nuovo vasto campo di forze, che colmi la carenza di indirizzo politico sulla scena continentale. E intendiamo concorrere a costruire nel mondo una nuova alleanza tra tutti quelli che vogliono fare della globalizzazione una opportunità per molti piuttosto che l’occasione per rafforzare il potere e la ricchezza di pochi. Ci riconosciamo nei valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, pace, dignità della persona che ispirano la Costituzione repubblicana e nell’impegno a farli vivere in Europa e nel mondo. Questi valori discendono dai molti affluenti della cultura democratica europea. Hanno le loro radici più profonde nel cristianesimo, nell’illuminismo e nel loro complesso e sofferto rapporto. Traggono alimento sia dal pensiero politico liberale, sia da quello socialista, sia da quello cattolico democratico. Sono maturati nella dialettica tra queste diverse tradizioni e dal confronto con le sfide proposte dalle culture ambientalista, dei diritti civili e della libertà femminile, oltre che nella condanna delle ideologie e dei regimi totalitari del novecento. Sono anche frutto di una lunga sequenza di conflitti, basati su appartenenze religiose o di classe, e di tragici errori. Oggi possiamo considerare alle nostre spalle quei conflitti e quegli errori. Oggi sono i valori che ci uniscono e gli obiettivi comuni che intendiamo realizzare a definire la nostra identità politica. Per questo, oggi, noi, i democratici, possiamo proporre, assieme, un progetto forte e credibile per rinnovare l’Italia e costruire l’unità dell’Europa. L’Italia, una nazione d’Europa Noi democratici pensiamo l’Italia come una grande nazione d’Europa. Una comunità culturale e politica fondata sui valori democratici della Costituzione e sulla capacità di arricchire le proprie radici nell’incontro e nel dialogo con altre culture e altri popoli. Noi democratici vogliamo l’unità dell’Europa. Un’Europa politica, dotata di una sua Costituzione, e non un semplice mercato comune. Un’Europa capace di promuovere il proprio sviluppo e di valorizzare il proprio modello sociale. Un’Europa che favorisca l’autogoverno responsabile delle sue comunità e l’unificazione della sua società civile intorno ai principi della democrazia, del dialogo culturale, della partecipazione e dell’inclusione. Un’Europa capace di parlare con una voce sola sulla scena internazionale e di dare alla imprescindibile solidarietà transatlantica con gli Stati Uniti d’America un carattere paritario. Un’Europa impegnata, in primo luogo insieme alle altre grandi democrazie, nella costruzione di un ordine mondiale fondato su istituzioni multilaterali. Un’Europa consapevole che ciò è condizione per combattere efficacemente le povertà, salvaguardare gli equilibri ambientali sulla linea già espressa con gli accordi di Kyoto, promuovere la democrazia, i diritti umani e il dialogo tra le culture, rifiutando la logica dello «scontro di civiltà». Un’Europa potenza civile, che sappia, anche con una comune politica di difesa, dare il proprio contributo per garantire e preservare la pace nel mondo e combattere il terrorismo fondamentalista con la forza e gli strumenti della legalità internazionale. È interesse nazionale dell’Italia valorizzare, in Europa, la sua vocazione mediterranea, tanto più a seguito dell’impetuoso sviluppo dell’Asia. Come principale proiezione dell’Europa nel Mediterraneo, l’Italia può svolgere una funzione politica, economica e culturale di primaria importanza, ed affrontare in forme nuove e più efficaci lo storico squilibrio tra il Nord del Paese e il nostro Mezzogiorno. Noi vogliamo che l’Europa, in particolare grazie all’Italia, operi per trasformare il Mediterraneo da epicentro dei conflitti mondiali a luogo privilegiato del dialogo e della collaborazione tra popoli, culture, religioni, impegnandosi in primo luogo per garantire la sicurezza di Israele e il diritto dei palestinesi ad uno stato pacifico e democratico, per favorire l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, per la stabilizzazione dei Balcani e la loro piena inclusione nella casa comune europea. Noi vogliamo un’Italia più libera, più giusta e più prospera. Per questo intendiamo partecipare allo sviluppo del modello sociale europeo, rilanciandone i due principi ispiratori di fondo: la valorizzazione dell’iniziativa, dei talenti e dei meriti; la promozione di un tessuto sociale solidale, attento al benessere di tutti, in cui nessuno si perda o resti indietro. Vogliamo investire nella produzione e nella diffusione delle conoscenze. Vogliamo un’Italia più capace di fare sistema, di darsi obiettivi condivisi e perseguire un disegno comune. E pensiamo che sia necessario un profondo cambiamento del nostro sistema produttivo, sia incentivando l’innovazione e la crescita delle imprese, sia valorizzando i talenti custoditi nelle pieghe del nostro variegato territorio, nel fitto tessuto delle comunità locali che da sempre alimentano la nascita di nuove imprese e la nostra grande tradizione artigianale. Dobbiamo coltivare il capitale umano, il senso civico e la coesione sociale, senza i quali i nostri distretti industriali non sarebbero mai decollati e la vocazione turistica di tanta parte del nostro paese verrebbe sprecata. Noi vogliamo un’Italia più unita, più omogenea sul piano economico e sociale. Per questo mettiamo al centro della nostra azione il Mezzogiorno. Dobbiamo assolutamente cogliere, come nazione, l’opportunità di farne il principale raccordo che, attraverso il Mediterraneo, unisca l’Europa e l’Asia. In questo quadro, la predisposizione di adeguate piattaforme logistiche, infrastrutture di comunicazione e reti telematiche, è fondamentale per attrarre stabilmente capitali e iniziative imprenditoriali. A questo fine vogliamo chiamare a raccolta tutte le migliori energie della nazione, per un progetto che richiede ingenti risorse economiche, ma soprattutto un impegno straordinario per riformare profondamente il settore pubblico, per combattere inefficienze, favoritismi, corruzione e mettere in moto le grandi riserve di ingegno di cui il Mezzogiorno è ricco. Noi democratici vogliamo che l’Italia dia ad ogni persona uguali opportunità di affermarsi grazie alle proprie capacità, alla creatività, al merito. Vogliamo un paese che premi le persone in base al loro lavoro e alla loro capacità di creare opportunità di lavoro per altri, più che in base alle eredità e alle rendite. La competenza, l’operosità, l’ingegno, la fatica, la capacità di creare imprese com- petitive devono essere concretamente riconosciute e apprezzate, in tutti i campi e ad ogni livello. Per questo combattiamo le rendite corporative, la gerontocrazia, il nepotismo, che bloccano l’innovazione, ritardano l’assunzione di responsabilità da parte dei giovani, mortificano e sprecano i migliori talenti del nostro paese. Per questo ci battiamo perché si affermi il principio di responsabilità, in base al quale il primario ospedaliero incapace, il dirigente pubblico inefficiente, l'imprenditore che non è in grado di stare correttamente sul mercato, il lavoratore dipendente inoperoso, devono essere adeguatamente sanzionati e fare un passo indietro, a vantaggio di persone più meritevoli e capaci. Per questo non smetteremo mai di indignarci di fronte alla pervicace mancanza di fiducia nella capacità di pensiero e di progetto delle donne, avvertibile in tutti i settori della società, dal lavoro alla vita privata. Su questo tema colpisce la distanza culturale che ci separa dagli altri paesi europei. Una società che si dica civile deve mutare a fondo l’atteggiamento culturale verso la donna, attuando una rappresentazione mediatica meno arretrata, stereotipata e discriminatoria, attraverso iniziative di formazione, codici deontologici e leggi. Per questo ci impegniamo a dare valore alle differenze, a realizzare compiutamente le pari opportunità, rendendo effettivo quanto finora è rimasto troppo spesso scritto sulla carta. Noi democratici siamo convinti che l’Italia abbia bisogno di una cura straordinaria di concorrenza nei mercati e di efficienza nel settore pubblico. Una cura necessaria sia per liberare le energie che servono a rilanciare lo sviluppo, sia per promuovere un maggior riconoscimento del merito, una più forte mobilità sociale, una più avanzata uguaglianza delle opportunità. Più concorrenza, anzitutto. Le imprese non devono essere assistite, protette o guidate, ciò che le deresponsabilizza e le espone a rapporti opachi con la politica. Hanno bisogno di buoni servizi, di energia a costi ragionevoli, di un carico fiscale non superiore a quello degli altri paesi europei, di reti infrastrutturali moderne, siano esse pubbliche o private. E di sanzioni efficaci in caso di abuso di posizione dominante o di altri comportamenti illeciti. L’Italia ha anche bisogno di una pubblica amministrazione più efficiente, che produca da un lato migliori servizi per le imprese e renda effettivi i diritti dei cittadini, specie di quelli con minori risorse e capacità di relazione; dall’altro consenta di recuperare le grandi capacità di lavoro esistenti nel settore pubblico, oggi mortificate dalle intrusioni della politica, dal mancato riconoscimento dei meriti, dall’assenza di sanzioni per chi non si impegna. Ma vogliamo anche che il nostro diventi un Paese più giusto, in cui il benessere sia diffuso. Siamo convinti che senza coesione non c’è sviluppo. Per questo non smetteremo mai di lottare per l’uguaglianza, contro la povertà e l’emarginazione. Per noi ogni persona ha diritto ad una buona formazione, alle cure migliori, ad un reddito adeguato. Per noi il lavoro è il cardine di una vita attiva e autonoma, strumento di realizzazione e di liberazione dal bisogno. Pensiamo ai lavori al plurale, a quello nella produzione e nei servizi, al lavoro di cura e a quello volontario; al lavoro che assorbe, che manca, che si perde e diventa troppo spesso dramma umano e fa miliare. L’impegno per una piena e buona occupazione è un cardine della nostra azione. Riteniamo importante promuovere tutti i lavori, anche nelle forme nuove, flessibili e autonome; ma vogliamo che la flessibilità non sia pagata con la precarietà e con le intollerabili insicurezze di oggi. Vogliamo tagliare le con- venienze al lavoro nero e sommerso, che produce sfruttamento e favorisce la piaga intollerabile delle «morti bianche». Vogliamo che le tutele non riguardino più solo il posto di lavoro, ma anche la capacità dei lavoratori di stare sul mercato. Non accettiamo che maternità, cura della malattia, studio e riqualificazione siano visti come incidenti deprecabili e non come benefici per la società intera. Per questo assegniamo un ruolo centrale alla formazione di qualità lungo l’intero arco della vita e intendiamo legare i redditi di disoccupazione allo svolgimento di attività formative e alla disponibilità al lavoro. Alla questione salariale che è aperta nel nostro paese, vogliamo ricercare risposte che premino il merito e la fatica. Vogliamo democrazia nei luoghi di lavoro, corrette relazioni sindacali, partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori. Noi democratici vogliamo rifondare il nostro stato sociale, che tende a offrire tutele solamente a chi ha o ha avuto un lavoro stabile lasciando gli altri indifesi, in primo luogo i giovani e le donne. Vogliamo ridisegnarlo in funzione del lavoro, delle giovani generazioni e della mobilità sociale. Vogliamo uno stato sociale universalistico, quanto alla platea dei destinatari; selettivo, in base ai bisogni, nelle prestazioni; equo, in base ai redditi familiari, nella contribuzione. Proponiamo un modello attivo di stato sociale che non si limiti a proteggere dai rischi ma stimoli la crescita delle opportunità personali e sociali attraverso servizi di qualità e integrati sul territorio. In particolare, dobbiamo colmare storiche carenze nei servizi per l’infanzia, i disabili e gli anziani non autosufficienti. (segue a pagina 12) |