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Il call center è troppo precario

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    N.29 anno LII - 27 luglio 2006
      Pagina 132/133 - Economia


      LAVORO / UN SERVIZIO NEL MIRINO

      Il call center ? troppo precario
        Basta con i finti co.co.pro. Il ministro Damiano cambia le regole per 20 mila giovani. Cosa faranno le aziende?

        di Marco Ratti
          La roulette russa ha iniziato a girare per migliaia di giovani che lavorano nei call center. Entro sei mesi, circa 20 mila addetti che oggi hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (i cos? detti co.co.pro.) potrebbero dire addio a una delle forme pi? estreme di precariato. Ma non ? detto che saranno rose e fiori per tutti: chi non sar? assunto come subordinato, a tempo determinato o indeterminato, rischia di perdere il posto. Di punto fermo ce n'? solo uno: cos? non sar? pi? consentito andare avanti.

          A stabilirlo ? la circolare 17 del 14 giugno che il ministro del Lavoro Cesare Damiano ha indirizzato ai propri ispettori e a quelli di Inps, Inail ed Enpals per fare chiarezza nel settore. Il documento d? un avvertimento: gli ispettori controlleranno che tutti i co.co.pro. abbiano un progetto ben determinato da portare a termine e siano davvero lavoratori autonomi, quindi senza giorni n? orari prestabiliti, per esempio. Parole che per gli addetti ai lavori hanno un significato ben preciso: i contratti di collaborazione fatti al personale che presta servizi di assistenza al cliente - dove si lavora in orari prestabiliti e senza un progetto chiaro e limitato nel tempo - dovranno sparire. Conferma il vicedirettore generale delle Attivit? ispettive del ministero del Lavoro, Paolo Pennesi: "A partire da inizio settembre andremo azienda per azienda a chiarire quali sono le regole, ma dai primi giorni di dicembre potrebbero arrivare gli ispettori per verificare che tutto sia in regola". Dopo l'avvertimento, quindi, chi far? ricorso a contratti co.co.pro. per quel tipo di servizi rischia di pagare la differenza tra quanto dovuto e quanto pagato, pi? il 60 per cento dei contributi omessi.

          Cambiare le regole dei call center significa mettere mano a qualcosa che sta segnando un'intera generazione. In un settore che impiega per lo pi? giovani e in cui il turn over ? elevatissimo, la novit? non far? piacere a tutti. C'? chi proprio non sopporta il precariato che spesso caratterizza questo mondo, ma non ne pu? fare a meno. Ma c'? anche chi, come molti studenti universitari, sfrutta la flessibilit? per studiare e, allo stesso tempo, raggranellare qualche euro. Insomma, il dibattito ? aperto, come dimostra l'editoria: quest'anno ? uscito "Mi spezzo ma non m'impiego", dove Andrea Bajani parla del pianeta precariato; nel 2005, Claudio Cugusi ha scritto un libro dall'eloquente titolo "Call center. Gli schiavi elettronici della new economy".

          Oltre che per i lavoratori, la circolare avr? effetti anche sul mercato. "Andava chiarito", dice Pennesi, "quando i contratti a progetto possono essere utilizzati, perch? il sistema delle gare d'appalto per l'affidamento di servizi "inbound" ne era falsato: chi partecipava proponendo prezzi pi? competitivi perch? utilizzava i co.co.pro. ne traeva un vantaggio ingiusto".

          Sandro Mascolo, direttore generale della Intouch (gruppo Europassistance), racconta di aver perso un paio di gare proprio per aver partecipato utilizzando dipendenti invece che co.co.pro. E lo stesso ? successo ad Alberto Tripi, presidente di Almaviva, gruppo leader del settore in Italia: "Un paio d'anni fa perdemmo la gara per il call center dell'Inps. Le Poste, utilizzando personale a progetto, offrivano quel servizio a 7 milioni di euro. Noi, con assunzioni a tempo indeterminato, a 15 milioni".

          A essere interessate dal provvedimento saranno soprattutto le imprese che offrono servizi di call center a terzi, visto che gli altri operatori, quelli "in house", solitamente non utilizzano contratti a progetto per questo tipo di attivit?. L'intero settore comprende circa 250 mila addetti, di cui 80 mila occupati in societ? di outsourcing (che fatturano complessivamente 500 milioni di euro l'anno). Togliendo da questa cifra chi lavora in servizi "outbound" - come promozioni e vendite via telefono, dove continuano a essere consentite le collaborazioni a progetto - si arriva a 15-20 mila lavoratori, che oggi prestano servizi di assistenza al cliente come co.co.pro., ma che domani dovranno avere un contratto di lavoro subordinato (sempre che le aziende decidano di confermarli). Questi dati sono forniti dall'Associazione italiana del contact center (Assocontact), che aderisce a Confindustria e registra tra i suoi iscritti un centinaio di aziende, che valgono circa l'80 per cento del totale. Il presidente di Assocontact, Umberto Costamagna, d? un giudizio positivo sulla circolare del mese scorso, perch? consente di dare regole certe al settore. Ma non ? ancora abbastanza. "Imprenditori e sindacati devono sedersi a un tavolo per accordarsi su un contratto valido per tutti gli operatori del settore", commenta Costamagna. Anche per Mario Massone, presidente di Customer management multimedia call center (Cmmc), un club che raggruppa circa 150 aziende della filiera, "serve una tipologia contrattuale specifica per il settore, cos? da portare il salario degli operatori a livelli pi? dignitosi". Come conferma la controparte sindacale. "La circolare ? solo un primo passo", dice il sergretario Uil per le politiche del lavoro, Carlo Fabio Carapa, "ma ora dobbiamo arrivare a un istituto contrattuale specifico. Credo che la collaborazione a progetto non vada mai bene nei call center. Piuttosto andrebbe meglio lo staff leasing".

          Anche per il segretario generale di Cgil-Nidil, Rossella Ceramelli, "questo settore richiede un accompagnamento verso una soluzione pi? complessiva", visto che gli interventi fatti finora "non incidono sulla condizione materiale di vita del lavoratore". E per Eros Pizzi, responsabile telecomunicazioni Cisl, bisogna "rivedere il sistema sedendoci a un tavolo". Tutti d'accordo, quindi. Ma nel frattempo, che cosa succede?

          Sul passaggio da co.co.pro a lavoro subordinato il presidente di Assocontact ? chiaro: "Significher? un raddoppio dei costi per le societ?", dice, "e quindi non si pu? negare che ci potrebbe essere un rischio occupazionale". In altre parole, se le compagnie di outsourcing non si potranno permettere di assumere chi oggi lavora in un call center con un contratto a progetto perch? i committenti non accetteranno di sborsare pi? soldi, saranno costrette a lasciare a casa queste persone. Un'ipotesi che invece Costamagna non ritiene probabile: "L'operatore di call center gestisce la relazione con il cliente, che ? la cosa pi? importante per l'azienda. Per questo credo che i committenti saranno disposti a pagare un prezzo maggiore per questo servizio. E per una qualit? che sicuramente crescer?". I progetti della maggiore azienda del settore sembrano dare ragione a questo ottimismo. "Nella nostra societ? lavorano 8 mila collaboratori a progetto", dice il presidente di Almaviva, Alberto Tripi, "e di questi circa la met? si occupa di servizi "inbound". Entro la fine dell'anno ci adegueremo, e questi co.co.pro. diventeranno lavoratori subordinati. Sempre che le aziende cui offriamo il lavoro accettino i maggiori costi. Ma non credo che abbiano scelta".

          Qualche azienda potrebbe avere grossi problemi a rispettare la tabella di marcia prevista dal ministero. Secondo Costamagna i tempi sono troppo stretti. E c'? chi ? ancora pi? esplicito. Come Mario Massone, di Cmmc: "? un processo che deve avvenire con gradualit?, perch? altrimenti si rischia di mettere in crisi tutta la filiera dell'outsourcing". Oltre ai tempi, il presidente di Cmmc critica altri aspetti della circolare: "La fase di verifica degli ispettori potrebbe riguardare anche il passato. Questo metterebbe a rischio la vita delle aziende". Polemiche a parte, Massone propone un vero e proprio cambiamento di mentalit? a chi commissiona servizi di call center. "Bisogna passare dal modello di outsourcing a uno di co-sourcing, investendo in tecnologia, nella qualificazione delle risorse umane e nella loro organizzazione". Coinvolgere i committenti dei servizi nel miglioramento dei servizi stessi, in effetti, potrebbe essere un modo per convincerli a pagare di pi? a partire da fine anno. Ma che la nuova circolare porti a 15-20 mila passaggi da collaborazioni ad assunzioni ? ancora tutto da dimostrare. Anche perch? le risorse umane pesano per il 70 per cento sui costi operativi di queste societ?. La roulette russa continuer? a girare fino a dicembre.


            Chiami il centralino, rispondono in Romania

            Qualcosa si muove all'estero nel settore dei call center. Secondo fonti ben informate, il primo gruppo italiano, Almaviva, dovrebbe sbarcare presto in Brasile. Questo non significher? posti di lavoro a rischio, visto che il servizio dovrebbe essere rivolto al mercato locale: personale portoghese risponder? e telefoner? a gente del posto. Ma per altri la tentazione di delocalizzare potrebbe essere forte, visto che la circolare di giugno del ministero del Lavoro costringer? le compagnie a sborsare pi? soldi per il personale. Traslocare oltreconfine, per?, potrebbe non essere tanto semplice. Soprattutto per problemi di lingua.

            Secondo i dati di Customer management multimedia call center (Cmmc), gli addetti che lavorano all'estero per aziende italiane sono poco pi? di 4 mila. In zone come Europa dell'Est o America Latina, il costo del lavoro pu? scendere anche a un quarto rispetto all'Italia. Ma altre spese, come quelle in tecnologia, a volte sono pi? salate all'estero.

            Il presidente di Cmmc, Mario Massone, individua due tipi di crescita fuori dai confini nazionali. "Il primo modello", dice Massone, "? quello sviluppato nell'Est Europa, soprattutto in Romania e Albania, dove ? pi? facile trovare persone che parlino italiano. In questo caso, si va all'estero solo per risparmiare sul costo del lavoro". Le societ? si organizzano in modo che, quando una persona chiama un call center dall'Italia, trovi dall'altra parte del telefono un rumeno o un albanese. Ma questo modo di crescere all'estero, che nel 2005 contava circa 3.300 addetti, "non ha opportunit? di crescita", secondo Massone. La musica cambia passando al secondo modello, quello rivolto al mercato locale. A lavorare cos? oggi ? meno di un migliaio di addetti, soprattutto in Argentina e Brasile. Ma il potenziale sembra maggiore. Secondo Massone, "il numero degli addetti potrebbe anche quadruplicare in un paio d'anni".

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