mercoledì 20 Ottobre 2004 |
ECONOMIA |
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Il buon contratto Metro Integrativo in controtendenza nel commercio MANUELA CARTOSIO
MILANO Càpita anche che si firmino buoni accordi. E se càpita nel settore del commercio, che ha fatto da battistrada alla deregulation del mercato del lavoro, l'anomalia merita d'essere segnalata e festeggiata. Il contratto integrativo del gruppo Metro - siglato a luglio, approvato con il 76% di sì al referendum tra i lavoratori, ratificato ieri da sindacati e azienda - interrompe l'ormai consolidato andazzo di dividere la platea dei lavoratori tra «vecchi» e «nuovi» assunti. Per la prima volta l'accordo integrativo vale per tutti i 4.700 dipendenti Metro e per tutti i 38 magazzini italiani della multinazionale tedesca, leader in Europa del cash and carry (le vendite all'ingrosso). Il superamento delle disparità di trattamento, la cosiddetta «armonizzazione, sarà graduale, ci vorranno alcuni anni perché vada a regime. Aver avviato il percorso è comunque «una svolta», dice il segretario nazionale della Filcams Cgil Maurizio Scarpa. «Non abbiamo difeso i lavoratori esistenti contrattando l'abbassamento dei diritti per i lavoratori che ancora non ci sono». Grazie alla mobilitazione dei lavoratori e al sostegno delle Rsu, una vertenza durata 18 mesi si è chiusa all'insegna non della frammentazione, ma dell'unità. L'aumento salariale annuo è di 1.300 euro (+40% rispetto all'integrativo precedente). Tutti i lavoratori godranno di sei sabati di riposo l'anno, il lavoro domenicale non sarà obbligatorio. L'integrativo resterà in vigore fino a nuovo accordo. Il riconoscimento dell'ultravigenza è importante perché molte aziende (ci ha provato anche Metro) in mancanza di un nuovo accordo considerano defunto quello precedente.
La mensa è stato lo scoglio più duro della trattativa. L'azienda, applicando alla lettera il decreto legge 66 sull'orario di lavoro, pretendeva di restringere il servizio mensa solo a chi svolge più di 6 ore continuative. In questo modo oltre la metà dei dipendenti Metro sarebbero rimasti senza mensa. La soluzione trovata soddisfa il sindacato. Il pasto (30 minuti) si consumerà a fine turno, fuori dall'orario di lavoro. Ma l'orario settimale scenderà da 38 a 36 ore. Una pausa caffè di 15 minuti porta l'orario effettivo a 34 ore e mezza. Il tempo perso da una parte viene recuperato dall'altra. E al conto vanno aggiunte le 12 ore retribuite annue per la formazione.
Solo su un punto il sindacato non l'ha spuntata. La piattaforma cercava di porre un freno alle assunzioni precarie. Il tentativo è stato «bruciato» dal contratto nazionale di categoria che sul punto ha concesso parecchio (il numero degli apprendisti può arrivare al 50% del totale dei dipendenti). Per la cronaca, sul contratto nazionale siglato a luglio le «consultazioni», semplici assemblee illustrative e niente referendum, sono ancora in corso adesso.
Alla Metro la sindacalizzazione supera il 50% (una percentuale alta per il settore del commercio). Questo spiega in parte il buon risultato. Ma a fare la differenza, insiste Scarpa, è «crederci». Metro non è un'azienda «più buona» delle altre. Consociativa in Germania, negli altri paesi europei si comporta come la concorrenza. In Turchia si è inventata un sindacato giallo. In Russia e in Cina, dove si sta installando, forse non ce ne sarà neppure bisogno.
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