1 - I negozi? «Sono pieni solo di problemi» 2 - Napoli regina del dettaglio 3 - I pubblici esercizi chiedono un Patto di filiera
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I negozi? «Sono pieni solo di problemi»
 Commercianti in crisi Confcommercio e Confesercenti reclamano incentivi per ribattere all'offensiva della grande distribuzione Vincenzo Chierchia
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La crisi dei piccoli negozi è strutturale soprattutto nel settore dei prodotti di largo consumo - sottolinea un'indagine AcNielsen -, anche se la quota dei punti vendita tradizionali si sta attestando poco al di sopra del 22 per cento. In sette anni, comunque, sono stati "persi" almeno quattro punti di quota a vantaggio della grande distribuzione, ormai largamente maggioritaria. Le analisi di lungo periodo confermano, dunque, i risultati delle rilevazioni di orientamento congiunturale che hanno messo in evidenza un marcato spostamento dell'interesse dei consumatori dal negozio tradizionale a vantaggio delle strutture organizzate (si veda «Il Sole-24 Ore del lunedì» del 10 marzo 2003). È declino irreversibile? «Il problema - ribattono alla Confesercenti - resta quello del rilancio di una politica di incentivi che consenta alle imprese di questo comparto la modernizzazione e lo sviluppo necessari a crescere in termini di dimensione e di occupati ed essere così più competitive». Confesercenti non nasconde peraltro le preoccupazioni sul boom di nuove imprese commerciali al Sud (vedi articolo a fianco), uno «sviluppo di imprese marginali in risposta alla carenza di occupazione dipendente, con il rischio dunque di andare ad alimentare in futuro la mortalità di questo settore». E Marco Venturi, presidente di Confesercenti, definisce «spietata la concorrenza della grande distribuzione alle piccole imprese commerciali» e paventa la «chiusura di migliaia di negozi». Confcommercio è in prima linea per la promozione e il rilancio degli investimenti. «I giovani imprenditori - sottolinea il presidente Sergio Billè - sono l'unica opportunità di cui dispone questo Paese per poter puntare allo sviluppo e alla competizione sui mercati. La profonda e forse irreversibile crisi in cui versa oggi il sistema delle grandi imprese non consente molte altre alternative. Ma bisogna dare ai giovani qualche sostanziale motivazione per gettarsi in questa difficile impresa: meno burocrazia e più attenzione da parte dello Stato, più incentivi e infrastrutture, meno tasse». Il vero nodo - sottolineano da tempo in Confcommercio - è il rilancio dei consumi delle famiglie. La crisi della spesa ha infatti penalizzato pesantemente le imprese commerciali medio-piccole. Le rilevazioni AcNielsen registrano che la grande distribuzione ha reagito alle difficoltà del mercato con un vero e proprio boom delle promozioni, che hanno fatto leva sia sull'acquisto di quantità a premio (i "3x2" o i "4x2") sia soprattutto sull'accumulo di risparmio da recuperare sulla spesa. La crescita degli investimenti in promozioni - spiegano in AcNielsen - è aumentata del 3,1% (dati gennaio 2003) rispetto allo stesso mese del 2002. Le grandi strutture di vendita hanno peraltro accusato lo scorso anno dei momenti di difficoltà e hanno reagito con le promozioni per attrarre clienti. Per esempio, nel periodo natalizio l'intensità delle promozioni sui tipici prodotti stagionali ha sfiorato il 40% con un incremento superiore al 4% rispetto allo stesso periodo del 2001. Va anche sottolineato il fatto che i grandi gruppi stanno puntando in maniera massiccia sulle strutture distributive di dimensioni minori situate nei centri urbani. Così Carrefour e Auchan-Rinascente, per esempio, stanno siglando acquisizioni e anche contratti di affiliazione di piccole catene di supermarket di dimensioni ridotte con un'elevata capacità di attrattiva per i consumatori. Punti vendita che fanno leva sul servizio di vicinato. Un'ulteriore spina nel fianco della rete del dettaglio tradizionale. In molti settori si sta sperimentando lo scenario del largo consumo. Nel campo della profumeria il gruppo transalpino Marionnaud ha realizzato una raffica di acquisizioni, sfidando altre catene come Limoni, Douglas o Sephora. Non mancano poi gli esempi di investimenti massicci da parte dell'industria: emblematico il caso L'Oreal nel settore delle boutique di estetica. |
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Napoli regina del dettaglio V.Ch.
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La rete commerciale continua a crescere. In Italia oggi si contano nel complesso (stima del ministero delle Attività produttive) ben 880.784 imprese commerciali al dettaglio. Dal 1999, frutto della riforma di settore varata l'anno precedente, il saldo tra nuove imprese e cessazioni è ridiventato positivo dopo anni di profondo rosso: nel 2002, sempre secondo i dati del ministero, il saldo è positivo per 9.754 imprese a fronte di 62.305 aperture e 52.551 chiusure. Il saldo dello scorso anno è anche superiore a quello del 2001 (8.447 imprese) e comunque non troppo lontano da quello del 2000, che ha registrato finora il risultato migliore, con un attivo di 12.562 imprese commerciali. Non va comunque dimenticato che è il Mezzogiorno a trainare la crescita della rete commerciale, sull'onda anche del fatto che si intrecciano fenomeni di emersione dal sommerso, con la dose di flessibilità/liberalizzazione sulle licenze introdotta dalla riforma, soprattutto per le piccole superfici. La palma d'oro per il saldo attivo dei negozi spetta alla Campania con 3.134 unità, la stragrande maggioranza delle quali (1.890) è stata censita in provincia di Napoli, che si riconferma dunque, ancora una volta, come la "locomotiva commerciale" d'Italia. Del resto, va anche ricordato che il Comune di Napoli è capofila in Italia nella promozione di attività commerciali come volàno di sviluppo economico. Dopo la Campania, il saldo attivo più consistente è stato registrato in Puglia con 1.738 unità. In pole position c'è Lecce con un attivo di 829 negozi, mentre una città a forte tradizione commerciale come Bari registra un attivo di "soli" 393 negozi. Nel Centro-Nord, invece, spicca il bilancio negativo della Lombardia, che accusa un saldo in rosso di 565 unità. Milano, in particolare, ha subìto un ridimensionamento della rete commerciale pari a 475 negozi. |
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I pubblici esercizi chiedono un Patto di filiera V.Ch.
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In Italia si contano oltre 250mila pubblici esercizi, tra bar e ristoranti, cui si aggiungono il sistema dei locali (serali e notturni) e le strutture turistiche. La rete è in espansione, ma gli operatori avvertono che l'eccessiva frammentazione può essere un rischio. Di recente la Fipe-Confcommercio ha sollecitato il Governo al varo definitivo dei benefici della legge 488 anche per il settore dei pubblici esercizi. Il regolamento per l'apertura del bando è in dirittura d'arrivo. «Il settore dei consumi fuori casa in Italia ha una prospettiva di crescita per i prossimi 20 anni vicina al 45% dei consumi alimentari totali - sottolineano alla Fipe-Confcommercio - il settore è dinamico con 45 miliardi di fatturato annuo e 750mila addetti. Ma il nostro mercato è particolarmente appetibile per i grandi gruppi stranieri, c'è un serio rischio di colonizzazione, che significherebbe omologazione dell'offerta e standardizzazione di servizi e prodotti. Per evitare il "rischio colonizzazione" bisogna puntare su un "patto di filiera" per ottimizzare i rapporti tra produttori, distributori e pubblici esercizi e sviluppare i processi d'innovazione». Fipe e ministero delle Attività produttive hanno portato avanti un programma ad hoc, con investimenti per 3,5 milioni di euro. Nell'ambito del progetto sono state sperimentate formule innovative (ampliamento dei servizi alla clientela, rinnovamento dell'offerta commerciale, implementazione di sistemi hi-tech). Una particolare attenzione, nell'ambito delle attività di sperimentazione, è stata rivolta alle performance di formule commerciali che, come quella dei wine-bar, sta riscuotendo un buon successo sul mercato. Riflettori accesi anche sulle prospettive della ristorazione tipica e di qualità e sul ruolo dei grandi gruppi distributivi globali nell'ambito della promozione della ristorazione italiana certificata all'estero. |
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