13/1/2004 ore: 9:32
I debiti Cremonini sfiorano il doppio del patrimonio
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I debiti Cremonini sfiorano il doppio del patrimonio LUCIANO NIGRO «E dire che stiamo chiudendo un anno record, il migliore della nostra storia con una crescita prevalentemente organica di 130 milioni di euro e un netto miglioramento dei margini», sbotta l’amministratore delegato Vincenzo Cremonini, secondo dei quattro figli di Luigi, il fondatore del gruppo. Già, questa storiaccia della Parmalat proprio non ci voleva. Da quando il vicino impero del latte è finito al centro di una delle più colossali vicende economicogiudiziarie che l’Italia ricordi, con il corredo di manette e interrogatori di manager in prima pagina che rievocano la tangentopoli dei primi mesi, anche sui conti di altri regni alimentari lungo la via Emilia il livello di attenzione degli investitori è cresciuto. E cominciano a diffondersi voci su altri indebitamenti, ai limiti della sostenibilità. Articoli e voci «non veritiere» secondo una pronta smentita dell’azienda. Ce n’è abbastanza per fare un salto a Castelvetro, ai piedi della collina modenese, dove si trova il quartiere generale del gruppo Cremonini, un gigante con quasi 5000 dipendenti e 1,7 miliardi di fatturato. «Debiti in crescita? sorride il trentanovenne manager ma se siamo ai livelli più bassi degli ultimi anni! Grazie a un’attenta gestione operativa, pur in presenza di una importante crescita aziendale, l’indebitamento finanziario netto è in calo, secondo gli obiettivi». Davvero? Nonostante gli investimenti sul macello più grande d’Europa? Nonostante l’acquisto delle mortadelle parmensi Ibis e il ricorso al credito per 100 milioni di euro del maggio scorso? «In calo», ripetono a Castelvetro, aprendo i quaderni dei conti. La posizione finanziaria netta che alla fine del 2002 era di 487,4 milioni, è scesa a 470,5 milioni al 30 settembre e si prevede inferiore a 430 milioni a chiusura del 2003. Calano, ma restano una montagna se confrontati al patrimonio netto (274,5 milioni).Già, rispondono ancora alla Cremonini, ma il rapporto debitopatrimonio che un anno fa era 2,8, è sceso a 1,7 in settembre e scenderà ancora. Infine, fanno notare, è comunque «inferiore a un terzo del fatturato». Tutto a gonfie vele, allora? «Un pizzico di preoccupazione dopo quello che abbiamo scoperto alla Parmalat è inevitabile dice Giordano Giovannini, che in Emilia guida gli alimentaristi della Cgil però, per quello che siamo in grado di sapere in un’azienda con la quale i rapporti sono difficili, è quasi tutta produzione, pochissima finanza. E un certo livello di indebitamento nelle aziende del settore, costrette a crescere, è inevitabile, perfino necessario». Nessuna somiglianza tra Parmalat e Cremonini, aggiungono altri, salvo un particolare: nella finanziaria di Tanzi figura tra gli altri il vicepresidente della Cremonini, l’avvocato milanese Paolo Sciumè. «Una certa quota di debiti, se acquisti il bestiame e incassi dopo 120 giorni è inevitabile. Ma questa è un’azienda con poca finanza e molta ciccia», conferma Pierluigi Natalini, fino a qualche anno fa presidente della concorrente Unibon. Natalini, come tanti da queste parti, vede in Cremonini «un’altra storia emiliana». Anche qui, è vero, c’è un padrepadrone venuto dal nulla che da una piccola bottega, soddisfacendo gli appetiti degli italiani e poi degli europei, ha costruito un impero a tavola. Ma questo, dicono a Castelvetro, non è un impero virtuale, di carta. Di carne, semmai. Montagne di bistecche e di hamburger, tagliate a milioni nel più grande macello d’Europa a Lodi. Preparate, confezionate e vendute nei supermercati Marr, servite in carrozza sui treni e nelle stazioni di mezza Europa e nei McDonald’s del Belpaese. Da qui, 41 anni fa, è iniziata l’avventura di Luigi Cremonini. Nel ‘66 fonda l’Inalca destinata a diventare la prima azienda di macellazione e vendita di carne bovina in Italia. Così grande che si mangerà la carne Montana. Prima, però, c’è l’avventura dei fast food, con il marchio Burghy: negli anni Ottanta dello sbarco delle polpette americane sulla penisola arriva ad avere 96 ristoranti. Ma è una guerra costosa quella contro gli hamburger a stelle e strisce. Cremonini si ferma prima di essere travolto da una valanga di debiti. Nel ‘95, vende tutto a Mc Donald’s. Due risultati in un colpo: riduce il debito e si assicura per molti anni la fornitura di carne a Mc Donald’s. Da quel momento, via l’olio, il vino e l’acqua minerale. Ci si concentra sulla carne. Una ristrutturazione che fa andare il gruppo come un treno. Anzi, sul treno. Cremonini si aggiudica, infatti, il servizio in carrozza sui Tgv francesi, persino sul collegamento LondraParigi sotto la Manica. E conquista stazioni su stazioni in Italia. La locomotiva si ferma solo quando si trova sul binario una mucca pazza. Botta pesante la Bse: fa crollare le vendite di bovini nel 2000 e nel 2001. «Ma forse è stata una fortuna» confiderà Luigi Cremonini «le crisi spingono agli accorpamenti e ti costringono a migliorare». E il treno della crescita riparte. |