Giovedì 11 Gennaio 2001 commenti e inchieste Fondi pensione in salsa federalista ROMA Una nuova configurazione della gestione del sistema pensionistico e un marcato sviluppo della previdenza integrativa a livello locale imperniato sui fondi territoriali. Sono i due effetti, «devastanti» secondo Cgil e Uil, che potrebbero essere prodotti sul versante della "protezione sociale" dall’eventuale approvazione da parte del Parlamento della riforma costituzionale dello Stato in chiave federale nella versione già licenziata dal Senato nel novembre scorso. Una vera rivoluzione previdenziale, insomma, potrebbe essere innescata dal federalismo, con possibili ripercussioni sui trattamenti obbligatori e sugli enti attualmente chiamati a gestirli (Governo ed enti previdenziali in testa), e, soprattutto, con una radicale modifica dei fragili dispositivi di "indirizzo" dei fondi pensione con le Regioni che, facendo leva sui fondi territoriali, potrebbero trovarsi a gestire flussi annuali di previdenza integrativa oscillanti dai 2mila ai 5mila miliardi.
Così come sono, le norme che prevedono il concorso delle Regioni nella definizione delle prestazioni pensionistiche obbligatorie e nello sviluppo della previdenza complementare, spianando la strada ai fondi pensione territoriali, potrebbero attivare - sostengono i sindacati ed anche alcuni tecnici del ministero del Lavoro - un meccanismo finalizzato ad alimentare pensioni differenziate da Regione a Regione e non poca confusione nello sviluppo della previdenza integrativa che già non gode certo di buona salute. Ma proprio tra i sindacati non mancano le differenziazioni.
La Cisl, a esempio, seppure contraria a una trasferimento dei trattamenti obbligatori alle Regioni, resta convinta che sul fronte della previdenza complementare, la strada da percorrere nei prossimi 10-15 anni è proprio quella dei fondi pensione territoriali, peraltro, già previsti, seppure in forma ristretta, dal decreto legislativo 124. Proprio grazie a questo decreto, sono nati fondi territoriale in Veneto e in Trentino Alto Adige (dove però la legislazione è già in parte autonoma) e ne sta nascendo un altro in Friuli. Proprio la Confederazione, attualmente guidata da Savino Pezzotta, è stata protagonista tre anni fa dell’accordo territoriale in Veneto che ha dato vita al fondo "Solidarietà Veneto" al quale hanno già aderito oltre 10mila soggetti e la cui platea potenziale si avvicina alle 350mila unità.
Cgil, e Uil, però, non la pensano allo stesso modo. Quello che fanno trillare le due Confederazioni è qualcosa di più di un campanello di allarme. Al quale si aggiungono le perplessità del ministero del Lavoro, mentre la Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, resta in esclusiva posizione di attesa. Il tutto avendo al cospetto norme definite unanimemente «sicuramente ambigue».
Il testo che che è al vaglio del Parlamento, lascia allo Stato il compito esclusivo di legiferare in materia di previdenza ma affida alle Regioni la potestà legislativa sulla «previdenza complementare e integrativa». Quindi ad essere coinvolti direttamente dal federalismo sarebbero i fondi pensione. Ma è chiaro che essendo la previdenza integrativa, sulla base della riforma Dini attualmente in vigore, il secondo pilastro di tutto il sistema previdenziale non sarebbero da escludere anche ripercussioni sugli stessi trattamenti pensionistici obbligatori.
Di qui il secco "no" dei sindacati a questa parte della riforma federale. «Siamo contrari a questi elementi», afferma il responsabile delle politiche sociali della Cgil, Beniamino Lapadula, secondo cui lo sviluppo dei fondi pensione territoriali che scaturirebbe da un’eventuale approvazione della riforma, sarebbe di fatto impossibile perché in contrasto con una direttiva Ue sulla liberalizzazione dei servizi finanziaria «in corso di perfezionamento a Bruxelles». Ancora più netto il numero due della Uil, Adriano Musi: trovo sbagliato il capitolo previdenziale della riforma in discussione in Parlamento». Secondo Musi, «la previdenza complementare è un tema di valenza nazionale e devolvere questo settore alle regioni non sarebbe certo una garanzia per i lavoratori».
Di diverso parere e Giorgio Santini della Cisl, che fu protagonista dell’accordo per l’attivazione del fondo territoriale Veneto. Un fondo rivolto alla cosiddetta area del lavoro diffuso, o disperso, ovvero ai lavoratori difficilmente inglobabili nei grandi contratti nazionali di categoria. Per Santini è proprio questa la strada da percorrere nei prossimi 10-15 anni in attesa di ottenere uno sviluppo a regime della previdenza integrativa su scala nazionale, «evitando però - avverte - di fare come in Trentino o in Friuli dove gli accordi territoriali sulla previdenza integrativa stanno avendo un funzione sostitutiva della previdenza pubblica».
---firma---Marco Rogari
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