IL COLLOQUIO
Fini: «Lo sciopero si fa una volta sola, il governo non cederà»
«Nessuno è così irresponsabile da voler fare le riforme in un clima di contrasto: larga coesione»
DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES - «Se qualcuno aveva pensato alla spallata rimarrà deluso». Non cita mai Reagan e nemmeno la Thatcher, ma all’inizio del volo che lo riporta da Bruxelles a Roma, offre il volto duro del governo, lanciando un messaggio destinato a quanti hanno agito «in uno strano rapporto di commistione tra sindacato e politica». Non c’è il Cofferati sindacalista nel mirino di Fini, quanto la sua icona di capo dell’opposizione politica, di quell’opposizione che celandosi dietro lo sciopero generale «ha voluto assestarci un colpo nel momento di massima difficoltà per l’andamento dell’economia internazionale». E’ a quell’opposizione impressa nell’immagine di «D’Alema e Bertinotti che sfilano a braccetto» che si rivolge, è quell’opposizione che «teme l’azione del governo, perché sa che se parte la ripresa e noi andiamo avanti con le riforme, non ci prenderà più». Lo sciopero, «legittimo quanto ingiustificato», è riuscito, ma l’operazione politica di chi marciava alle sue spalle è «fallita, perché non si ripeterà quanto accaduto nel ’94, sebbene molti avessero pensato che alzando il livello dello scontro avremmo poi ceduto. Quel pericolo lo abbiamo scongiurato». E ora che «il rito è stato consumato», le posizioni si sarebbero persino ribaltate, «perché un governo che passa indenne da una manifestazione come non se ne vedevano in Italia da vent’anni, è sicuramente un governo più forte. In occasioni del genere, in passato, gli esecutivi avevano dovuto far retromarcia, o erano addirittura entrati in crisi». Stavolta non accadrà, «la rotta tracciata con le riforme strutturali, e la solidità della maggioranza, sono i due capisaldi del governo». Il velivolo si avvicina allo spazio aereo italiano, Fini si è già lasciato alle spalle le discussioni della Convenzione europea per affrontare i problemi di casa. «Noi abbiamo vinto le elezioni sulla base di tre messaggi: la riduzione delle tasse, una maggiore sicurezza del cittadino, il rilancio delle opere pubbliche. E’ chiaro che vorremo mantenere gli impegni, ed è chiaro che l’opposizione lo teme». Ma dev’essere altrettanto chiaro, che «i tempi sono tempi di legislatura»: è un modo anche per replicare alle critiche di Confindustria. Chiusa la polemica politica, il vicepremier cambia registro per offrire l’immagine dialogante di palazzo Chigi. Siccome «lo sciopero generale è un’arma che si usa una volta sola, e Cofferati sa di non poterne minacciare un altro fra un mese», ora «bisogna tornare a dialogare», e l’esecutivo affronterà il tema della ripresa delle trattative «nel prossimo Consiglio dei ministri. Senza retrocedere sull’articolo 18, vogliamo allargare lo spettro della discussione agli ammortizzatori sociali, alla questione meridionale, al tema della democrazia economica». E’ agli interlocutori sociali che ora si rivolge Fini, e serve il dialogo «perché nessun governo è così irresponsabile da voler fare le riforme in un clima di scontro: il nostro obiettivo è avere una larga coesione, che non vuol dire unanimità». Ma stavolta palazzo Chigi dovrà dotarsi di una «cabina di regia». Insiste su questo punto il leader di An, ed è come se ammettesse che in corso d’opera l’esecutivo ha commesso degli errori, anche se lo nega, scaricando le responsabilità sulla Cgil, «perché non abbiamo rifiutato il dialogo, abbiamo detto no a un diktat». Epperò è chiara la mossa di Fini, che tuttavia vuole evitare nuovi attriti nell’alleanza, specie con Tremonti: «Ma no, ma no - si schermisce Fini - anche Tremonti riconosce che non può essere un singolo ministro a gestire l’intera vicenda. Qui non si tratta di espropriare nessuno, ma di dare massima credibilità e autorevolezza all’iniziativa del governo. Anche con Bossi abbiamo convenuto che il cerino non può rimanere nelle mani di un solo ministro», che insomma d’ora in poi Maroni non dovrà essere il parafulmini dell’esecutivo. «E Maroni difatti è favorevole alla cabina di regia». Si apre una fase politica delicata, serve la cabina di regia come serve «bandire dal tavolo due eccessi: la concertazione intesa come obbligo di assenso, e il confronto inteso come dialogo tra sordi. La giusta via è rilanciare il dialogo nel rispetto dei ruoli». E certo, «servono risorse», Fini dice che «nella prossima Finanziaria avremo fondi a disposizione, ma non si può impostare la trattativa come vorrebbe Cofferati, che propone di quantificare anzitempo gli euro necessari. No, prima va definito il progetto, e dopo si arriva alla verifica dei costi. E comunque i soldi per avviare la discussione ci sono, anche se non è detto che tutte le risorse necessarie debbano essere messe in campo solo dal governo». Ecco un altro messaggio lanciato a Confindustria, che si unisce al messaggio lanciato ai sindacati: «Nessuno intende dividerli, ma se la Cgil rimarrà arroccata sulle proprie posizioni toccherà a Cisl e Uil stabilire cosa fare. Su loro graverà la responsabilità maggiore: possono continuare a seguire la Cgil, a fare da comparsa o da petali della corona di Cofferati, assecondare il suo protagonismo politico, ma questo potrebbe intaccare la loro identità e la loro autonomia». Fini vuole vedere cosa faranno i sindacati, «vorrò vedere se si opporranno al progetto sulle pensioni, visto che non vogliamo modificare in modo drastico la riforma Dini ma solo dare ai cittadini la libertà di scegliere se smettere di lavorare o continuare con una busta paga più pesante». Davanti al «fallimento» di chi voleva usare lo sciopero per «dare una spallata al governo», e dinanzi a un’opposizione «sempre più su posizioni massimaliste», il governo è atteso alla prova: «Tutto dipende da noi». E come l’euro fu il traguardo del governo Prodi, il governo Berlusconi si gioca la sua scommessa sulle riforme sociali ma soprattutto sulla riduzione delle tasse, «l’impegno più qualificante - ammette Fini - a cui è interesse vitale tener fede, compatibilmente con il quadro economico generale. I tempi dipendono anche dalla congiuntura economica internazionale: una settimana fa, con la crisi in Medio Oriente e il rischio di un nuovo shock petrolifero, abbiamo temuto il peggio. Il pericolo è stato scongiurato, ma appunto non dipende solo da noi».
|
 |
Francesco Verderami
|
 |
|
 |
 |
|
 |
|
|