E la base non capisce: il duello delle mozioni da cosa siamo divisi?
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«Da quando sono iscritto al sindacato? Da bambino son cresciuto a biscotti Plasmon e Cgil». Ivano Benni ha 72 anni. Non è un delegato, lavora al congresso della Camera del lavoro come volontario. La sua pettorina rossa con su scritto «organizzazione» anima i capannelli che si formano nel cortile del Cnr, dove i delegati, tra un intervento e l’altro, si fermano a chiacchierare e a godersi la giornata di sole. «Ne ho visti di congressi — ricorda —. Ai miei tempi eravamo bulgari, forse troppo. Però questa storia delle due mozioni mi preoccupa. Non possono spaccare il sindacato adesso, con la crisi che c’è e con questo governo. Li chiuderei tutti lì dentro — dice indicando la sala del congresso —. Litighino, facciano a botte, porto anche le mazze. Ma alla fine escano uniti. Perché i lavoratori una Cgil divisa non se la possono permettere». Tra i delegati sono tanti ad annuire ai suoi discorsi. Perché nella giornata della tattica, dove nonostante gli appelli a ricucire la situazione rimane allo stallo, le divisioni preoccupano la base.
Diversamente da Benni, Marco Simoni della Funzione pubblica è al suo primo congresso: «La tattica tra le due mozioni? Sono questioni che i lavoratori neanche percepiscono. Fatichi a distinguere le differenze di merito tra le due posizioni: due documenti complessi di 30 pagine ciascuno». E lo spiega chiaro anche don Luigi Ciotti, ospite della seconda giornata di congresso: «Datevi una mossa, fate meno mozioni». Tutti in piedi a battere le mani quando il presidente di Libera conclude: «Non perdete tempo con mozioni qua e mozioni là, c’è bisogno di una risposta forte del paese». E a parole sono tutti con lui. «Don Ciotti ha ragione — commenta Marino Pazzaglia, delegato Spi— ma è colpa loro». Loro chi? «Gli sconfitti del partito che si sono infiltrati nel sindacato». Ovvero? «Ex comunisti, quelli di Rifondazione. Non sono riusciti a dire la loro nel Pd e adesso ci provano nelle fabbriche, dove trovano consenso. Comunque la maggioranza si è espressa». Tra i delegati dello Spi, i cui voti sono stati determinanti per la maggioranza della mozione uno, sono in tanti a pensare che i metalmeccanici (che con Fp, Filcams e Flai sostengono la due) giochino all’arrocco. Ma la Fiom non ci sta: «La mozione uno si chieda perché ha perso tra i lavoratori attivi», dice Giovanni, operaio della Titan. «Non possono chiedere di farci da parte— spiega Luciano Monari, delegato Fiom —. Lo Spi sembra aver adottato l’unanimismo del Pci. A me hanno detto: io avrei votato per la tua mozione, ma non posso».
La fiducia però non è perduta. Tra i delegati vince l’idea che saranno le lotte da portare avanti a congresso finito a ricompattare il sindacato. «Gli operai che salgono sui tetti perché hanno perso il lavoro mica si chiedono: "oddio, chissà la Cgil cosa ne pensa dell’exit strategy dall’Afghanistan…". E così quelli che sui tetti ci lavorano — conclude Gianni Monte, degli Edili». Accanto a lui Roberto Rubino (Fp) racconta: «Parlando delle mozioni con i lavoratori mi sento dire: "scusa se ti interrompo, ti ricordo solo una cosa. Il contratto è scaduto"» .