Ds, resa dei conti D'Alema-Cofferati
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Ds, resa dei conti D'AlemaCofferati Il leader della Cgil: troppi errori, compresa la Bicamerale
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Cofferati parte piano e finisce escludendo un impegno diretto nella battaglia per la segreteria. Ma in mezzo ci sono le frustate alla Quercia e soprattutto a D'Alema, l'annuncio di un documento congressuale per «articolare meglio la sostanza delle cose che dico qui perché questo è il mio partito». Lui rimarrà nella Cgil fino alla scadenza del mandato, giugno 2002. Nel frattempo, in un discorso breve ma tagliente, espone un piccolo programma per «i Ds che vorrei», non risparmia proprio nessuno, il gruppo dirigente lo ascolta come se fosse davanti al plotone d'esecuzione, guardando da un'altra parte ma ascoltando con attenzione, chiamato in causa più volte per «i molteplici errori che hanno una responsabilità collettiva». Alla fine però l'imputato numero uno ha il profilo di D'Alema, mai citato, tante volte evocato. L'ex premier aveva parlato prima, senza riferimenti diretti a Cofferati. Si era soffermato sull'analisi del voto offrendo un sostegno a Rutelli: «Dobbiamo evitare un secondo letargo dell'Ulivo». Stimolando l'orgoglio del partito per «non fare della Quercia il materiale di recupero di altri». Usando più volte il termine «autocritica». Immaginando anche più mozioni al congresso per un dibattito vero. Non gli è servito ad evitare il confronto duro con Cofferati. Il primo giorno della direzione diessina diventa così una resa dei conti che ha radici antiche, tra il presidente della Quercia e il segretario della Cgil. «È stato un errore aver affidato alla Bicamerale il tema della stabilità istituzionale - attacca il leader sindacale - Abbiamo sacrificato il rigore delle regole alle ipotetiche intese politiche per le riforme». Si riferisce alla legge «soft» sul conflitto d'interessi votata alla Camera. «Così abbiamo sovraesposto il partito e messo in ombra il risanamento operato dal governo». E ancora: «È stato un errore aver accettato la guida dell'esecutivo, aver affrontato un evento storico senza una vera legittimazione popolare». Eppoi: «È stato un errore aver perso la nostra identità riformista con il tentativo di occupare il centro enfatizzando un'astratta ipotesi di modernizzazione». Anche l'aver presentato «il sindacato come una forza conservatrice non ha prodotto effetti positivi». Tutto divide oggi questi due uomini della sinistra tranne una stretta di mano all'inizio della riunione. Persino l'analisi del voto è diametralmente opposta. «Il nostro non è un Paese di destra. È stata solo l'incapacità di fare uno schieramento largo ad impedirci di vincere», dice Cofferati. Poco prima gli esperti del voto avevano spiegato il contrario. E D'Alema si era soffermato sulla crescita del Polo: «Berlusconi è più forte che nel ‘94». Cofferati parla che è già notte, il «cuscinetto» tra il suo intervento e quello del presidente, che è stato il primo a intervenire, diventa sempre più grande. Dopo una trattativa confusa e il giallo sui «tempi» si accelera. D'Alema prende appunti come un giornalista e alla fine replicherà: «Anch'io ho fatto autocritica sul mio governo, ma la Bicamerale non è stata inutile». Ma eccolo il partito che il segretario della Cgil vorrebbe. E non solo lui: «Rappresento qui le donne e gli uomini della Cgil, anche loro chiedono ciò che chiedo io». Sono le «cose di sinistra» di Cofferati: «Un partito che nel solco della tradizione socialista, si batte perché vengano create istituzioni sovranazionali per le regole del mercato globale affinchè siano garantiti i diritti dei paesi più poveri, che chiede sviluppo per ridurre le differenze sociali senza contrapporre le ragioni dell'impresa al ruolo sociale del lavoro nelle forme antiche e moderne». Una sola battuta per l'idea di Amato di una sinistra unita: «È giusto ma prima occupiamoci dei Ds». Su questo punto Pietro Folena dice «un sì appassionato, ma che non sia la Cosa 3». Cofferati insiste anche sull'organizzazione dell'opposizione «perché ci sia sempre una risposta parlamentare nel merito. Può essere un governo ombra, ma le formule sono meno importanti. L'importante è evitare che la minoranza risponda con una Babele di linguaggi». Identità della sinistra e rivendicazione del ruolo del sindacato «che c'è in tutte le socialdemocrazie e anche nel partito democratico americano». Conclude: «Ma senza una sinistra forte non c'è una rappresentanza sociale efficace per i lavoratori».
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