Dinamite alla Bocconi «Azione degli anarchici»
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MILANO — Sopra il tunnel, che corre parallelo alla strada, alla profondità di un piano interrato, ci sono in ordine sparso un cortile, un piccolo parcheggio con degli alberi, alcune aule dell’università e una delle due ali del pensionato che ha 260 stanze singole. L’altra notte le aule erano tutte vuote e le stanze quasi tutte piene (i rientri per Natale inizieranno domani e sabato).
Il tunnel, lungo un centinaio di metri, ha due uscite-entrate: la prima a lato della Sda, la Scuola di direzione aziendale, e la seconda sotto il corpo centrale della Bocconi. Di solito gli studenti lo usano per muoversi quando piove o per spostarsi rapidamente tra la palestra, il campo di calcetto, il self-service, i corridoi delle lezioni. Stavolta, nel tunnel, hanno messo una bomba.
«Nessun danno»
Due chilogrammi di dinamite, rivendicata dalla Federazione anarchica informale, che ha firmato la busta esplosiva arrivata martedì a Gradisca, in Friuli, al Centro di identificazione ed espulsione. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni: «È una cosa seria. Da non sottovalutare. Sono fatti che fanno alzare il livello di guardia». Il rettore Guido Tabellini: «I danni sono stati molto limitati, e non potevano esserci danni alle persone perché è un corridoio chiuso ». Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: «Vanno indietro le lancette della storia». Emanuele Fiano, Pd: «Episodio gravissimo. Il governo riferisca». Il governatore Roberto Formigoni: «Istituzioni e forze politiche devono recuperare un clima civile di confronto».
Il nascondiglio
Un corridoio chiuso, ha detto il rettore. Chiuso e con due soli accessi laterali, che di sera, fanno sapere dalla Bocconi, sigillano con poderosi lucchetti. Chiusi, a una certa ora, sempre con lucchetti, anche le due uscite-entrate, sui quali vigilano le guardie giurate, mentre all’ingresso del pensionato c’è di turno un portinaio. Il portinaio Vito Matarazzo non lavorava, l’altra notte: «Ma qui, tra noi colleghi, nessuno ha saputo nulla. Anche quello di turno. Non ha sentito niente». Gli studenti (italiani del Sud, giapponesi, cinesi, romene, francesi) rientrano al pensionato e chiedono a Matarazzo se sia vero quel che, al telefono, con un’agitazione pazzesca (si sentono le urla dai cellulari) i genitori stanno dicendo: «Una bomba alla Bocconi: è vero?».
È tutto vero. Qualcuno ha posizionato l’ordigno sotto una intercapedine del soffitto color bianco, soffitto a volte «a portata», in quanto in alcuni tratti non superiore ai due metri d’altezza. Da dove sono entrati, gli attentatori? A che ora? Si sono mischiati agli studenti? Hanno atteso l’ora ics per esempio in un bagno (le aule vengono rigorosamente chiuse)? E per quale via sono scappati? Hanno aspettato ieri mattina quando è ripresa l’attività accademica per andarsene?
Il botto nella notte
Notte tra martedì e ieri, dunque. Sono circa le 3. C’è un botto. Una ventina di studenti interpellati ieri sera dicono di non aver sentito niente. Ma qualcuno che sente c’è. La guardia giurata. Che accorre e scopre. Scopre problemi all’impianto elettrico. I pompieri e i poliziotti poi scopriranno altro: il candelotto. Il sindaco Letizia Moratti si appella al «senso di responsabilità affinché si possano evitare ingiustificate drammatizzazioni ». In città, Rifondazione comunista invita a osservare che «ogni volta che le tensioni politiche superano un certo livello, puntuale come un orologio svizzero arriva la bomba».
Ma che bomba è stata? Solo e soltanto un ordigno «dimostrativo »? Quali conseguenze avrebbe avuto, in caso di deflagrazione?