8/4/2005 ore: 10:50
Delocalizzati i colletti bianchi l´Italia porta all´estero i servizi
Contenuti associati
Delocalizzati i colletti bianchi l´Italia porta all´estero i servizi La lingua non sembra essere un ostacolo: "In Romania o in Croazia si trova chi la parla" Informatica, ricerca e consulenza: il 30% dei posti in Europa può essere esportato Ma il grosso oggi sono i servizi informatici: sviluppo del software, acquisizione dati, manutenzione delle reti, gestione del personale, controllo delle transazioni finanziarie. Con lo sviluppo delle telecomunicazioni che un pc sia nell´ufficio accanto o a tremila chilometri di distanza non importa più. Roberto Mastropasqua, dell´Idc, una società di consulenza, valuta che almeno un terzo dei 10 miliardi di euro che, complessivamente, le imprese italiane spendono, ogni anno, in servizi informatici sia appaltato fuori dell´azienda. Quanto di questo va all´estero? «Ormai una percentuale a due cifre: diciamo fra il 10 e il 20 per cento», ovvero fra 300 e 600 milioni di euro, valuta un imprenditore del settore. L´outsourcing, cioè la dislocazione all´estero di fasi intere di produzione industriale, ha ormai una storia vecchia di decenni. Ma in economie avanzate come quelle occidentali, la decimazione dei posti di lavoro operai non impressiona più nessuno. L´offshoring, cioè la dislocazione all´estero di lavori tradizionalmente riservati ai colletti bianchi, è invece un fenomeno nuovissimo e molto più lacerante: il 70 per cento della ricchezza nazionale (e dell´occupazione) nei paesi ricchi è data dai servizi. E, negli Usa, dove il fenomeno è nato, l´offshoring ha creato un dibattito accesissimo. Che, peraltro, non lo ha fermato: Forrester Research, un´altra società di consulenza, valuta che, nel 2008, il giro d´affari globale dell´offshoring quintuplicherà a 150 miliardi di dollari l´anno. La sua natura sta cambiando a velocità vertiginosa: dall´India, prima destinazione privilegiata, è rimbalzato in Cina, in Israele, nelle Filippine a Singapore. Soprattutto, è cresciuta l´importanza dei lavori compiuti in offshoring: dai call center (prenotazioni, assistenza clienti) si è passati ai servizi informatici, a quelli finanziari (transazioni, bilanci) a quelli medici (lettura a distanza delle radiografie) fino ai più elevati. L´offshoring ha rapidamente scoperto che i tassi di scolarizzazione e la qualità dei laureati in questi paesi (in Cina e in India ci sono più ingegneri che negli Usa) non è inferiore a quella dei paesi occidentali. La sanzione definitiva viene da Microsoft, che ha deciso di affidare agli indiani di Infosys e di Satyam finanche l´architettura dei propri programmi software. L´Ocse, l´organizzazione dei paesi industrializzati, tiene in questi giorni, a Bruxelles, un convegno sulla internazionalizzazione della Ricerca&Sviluppo. L´idea che la globalizzazione sfociasse in una divisione del lavoro, fra un terzo mondo che lavora con le mani in officina e un occidente che si riserva i lavori di cervello - strategia, invenzione, sviluppo, design - a più alto valore aggiunto, è stata strozzata nella culla. Insieme all´idea di una delocalizzazione tutta verso l´Asia. Il boom, oggi, è l´Europa dell´Est, nei paesi ex comunisti in cui il livello di scolarizzazione è, ugualmente, a livello occidentale. Nella classifica mondiale dell´offshoring, compilata dall´Economist Intelligence Unit, il terzo posto, dopo India e Cina, è della Repubblica ceca. In quella delle top 100 aziende, costruita da neoIT, un´altra società di consulenza, compaiono la romena Akela, la bielorussa Iba, le russe Luxoft, CTGroup, Epam. Non sembrano esistere limiti: non sono solo gli ingegneri a costare una miseria. I consulenti inglesi della Lawrence Graham hanno fatto notare che, nell´Europa dell´Est, esistono 50 mila avvocati, buona parte dei quali sa benissimo l´inglese, e che sono abituati a guadagnare poco: lo stipendio iniziale di un giovane avvocato è di 70 mila euro l´anno, a Londra, 6 mila a Varsavia. Ma anche l´idea che l´offshoring sia un fenomeno anglosassone e anglofono è stata spazzata via. Lettonia, Lituania, Estonia e Bielorussa offrono ai paesi scandinavi il Baltic IS Cluster, 30 mila addetti che parlano tranquillamente svedese o finlandese e che aveva, già nel 2003, un giro d´affari di 2,24 miliardi di euro. I tedeschi si sono riversati su Repubblica ceca, Polonia, Ungheria. I consulenti della McKinsey calcolano che i lavoratori dell´offshoring, da qui al 2008, passeranno, in Polonia, da 3 mila a 200 mila. Philips ha spostato il suo centro di assistenza clienti europeo a Lodz, Lufthansa il suo centro contabilità di gruppo a Cracovia, Dhl il suo centro di controllo smistamento a Praga, Accenture (un altro gigante della consulenza) realizza il 20 per cento del suo fatturato di gestione conto terzi nell´Europa dell´Est. E´ una marea. Il settimanale Business Week ha previsto che l´economia europea si avvia a perdere 780 mila posti di lavoro nei servizi finanziari e 100 mila nelle telecomunicazioni. L´Ocse cautamente prende tempo, ma l´unica previsione che ha avanzato fa accapponare la pelle: il 30 per cento dei posti di lavoro dell´Europa occidentale in settori come l´informatica, la consulenza, i servizi finanziari, la ricerca e sviluppo è, potenzialmente, suscettibile di offshoring, di esportazione. E l´Italia? L´ultima idea spazzata via è che la lingua italiana sia una sorta di monopolio nazionale. «Si trova abbastanza facilmente, nelle università romene, chi parla un buon italiano» segnala Montandon. «E non solo in Romania» aggiunge Ennio Lucarelli, il presidente della Fita, la federazione del terziario avanzato. «Ci sono zone e fasce di conoscenza della lingua italiana anche in Albania, in Croazia, in Tunisia, in Libia». Probabilmente, neanche la Rai sospetta quanta gente abbia imparato l´italiano da Pippo Baudo e Raffaella Carrà. I call center, l´acquisizione dati, la lettura ottica sono, secondo Lucarelli, i tre settori in cui si sta sviluppando l´offshoring italiano, in attesa che decolli la prossima tappa, che definisce «le sinergie nella ricerca e sviluppo». Il motore che spinge le imprese italiane a delocalizzare? Lucarelli non ha dubbi: «I costi, sono paesi che costano molto meno». Montandon preferisce invece sottolineare la possibilità di attingere a personale di competenza, finora, misconosciuta, ma non esita ad indicare che i risparmi di costo (ad esempio per un call center) sono intorno al 40 per cento, rispetto ad un omologo italiano. Un potente incentivo, se non a spostare attività dall´Italia, ad aprire all´estero quelle nuove. |