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18.02.2004 Da Parmatour ai conti privati Così la liquidità esce da Parmalat e alimenta i tesori familiari Roberto Rossi
MILANO Qualcuno l’ha definito il “giocattolo” della famiglia Tanzi, quello con cui far divertire i figli, svezzarli all'inseguimento del profitto per poi lanciarli nell’azienda di papà. Per altri, invece, una replica, in piccolo, di un sistema di malversazioni collaudato in anni di traffici Parmalat. Comunque la si voglia definire è certo che Parmatour, terzo operatore in Italia nel settore del turismo, 800 dipendenti circa, è stato, di fatto, uno dei tanti affari sballati dei Tanzi. Un colosso d’argilla, più che altro. 50 agenzie di viaggio, altre 30 in franchising, un patrimonio immobiliare superiore ai 100 milioni di euro e 5 marchi noti, da Comitours e Going, ma anche una montagna di debiti (418 milioni di euro a metà dicembre). Un colosso affidato da Calisto Tanzi alla figlia Francesca, la secondogenita, incarcerata proprio ieri. Una che si è sempre tirata fuori, secondo una sua versione, dagli intrecci finanziari della famiglia. A lei, spiccia, con piglio di comando e iperattiva, è sempre piaciuto un ruolo più gestionale nel gruppo. Da credergli. Però Francesca, sposata e separata, laurea in geologia, non proprio raccomandata per un futuro manager, non ha saputo dire di no al padre Calisto. Che la iniziò alla carriera imprenditoriale affidandole la guida delle Gelaterie Parmalat, catena presente in alcune città americane, lanciata in occasione delle olimpiadi di Atlanta nel 1996. Una carriera che è subito diventata operativa alla guida del settore turistico dell’azienda. «Una figura risultata sostanziale - hanno spiegato gli inquirenti - anche se non formale». Di fatto Francesca Tanzi non ricopriva ruoli decisionali all’interno di Parmatour, come da lei ricordato, ma era stata chiamata in causa da altri indagati come colei che prendeva realmente le decisioni. Accuse che per primo aveva lanciato Fausto Tonna, ex direttore finanziario di Parmalat già nei primi interrogatori. Tutto il contrario di quello detto da Calisto, che ha sempre cercato di difenderla spostando l’attenzione sul ruolo decisionale della nipote Paola Visconti (non raggiunta da alcun provvedimento restrittivo). Come è iniziata la storia di Parmatour? Nasce da una sigla, il cui significato ancora non è chiaro: Itc&p. Itc&p. è la società, controllata, guarda caso, da una finanziaria irlandese, di proprietà dei Tanzi e di Giampiero Donzelli. Con questa il patron della Parmalat si lancia in una serie di acquisizioni lungo tutto l’arco degli anni 90. Club Vacanze, che ha alberghi sparsi in tutto il mondo, dall’Hotel Astoria di Lavarone ai vari resort delle Maldive, agenzie turistiche, il tour operator Going e quello Chiariva, e prima Comitour, il gruppo Ausiliare. Acquisizioni che trasformano la futura Parmatour in un contenitore dalle grandi potenzialità, ma anche in un pozzo di debiti senza fine. Tanto che il sistema collaudato in Parmalat Finanziaria viene in sostanza replicato nell’arcipelago del turismo. Dove il ruolo di Tonna, mente finanziaria del gruppo alimentare, sarebbe stato svolto in questo caso, secondo l’accusa, da Claudio Baratta, ex presidente e amministratore delegato di Hit Spa, la società da cui dipendevano le compagnie di viaggi conferite a Parmatour nel 2003, finito ieri in carcere. Nel pozzo senza fondo del turismo sono scomparsi circa 400 milioni. In che modo? 263 milioni da Parmalat verso Hit e Parmatour, 145 milioni da Parmalat Finance Corporation verso Hit, Hit International e altre società attraverso un giro dal Lussemburgo. Tutti poi scaricati nella società delle isole Cayman Bonlat, la pattumiera dei debiti del gruppo. Di tutto questo, secondo il giudice delle indagini preliminari Pietro Rovato, anche Francesca Tanzi «era perfettamente a conoscenza». Parlando in particolare di Parmalat Finance Corporation, «società olandese del Gruppo emettitrice dei bond, i cui legali rappresentanti eravamo io, Giovanni Tanzi e la Forum Administration» Tonna precisa che «Francesca Tanzi era perfettamente a conoscenza del fatto perché lavorava all’interno delle società del turismo e conosceva la provenienza del denaro». Stesso discorso per Stefano che «risulta essere beneficiario» di distrazioni operate in danno del Gruppo Parmalat «a favore di quello del turismo prima e in danno del gruppo turistico poi». Stefano era «ben consapevole della necessità di falsificare le scritture contabili e in particolare i bilanci che concorreva ad approvare onde occultare le distrazioni».
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