21/10/2014 ore: 8:15

Da Beauty Point a Gardenia, la strada in salita dei lavoratori

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Prosegue la Via Crucis degli ex lavoratori dei punti vendita Beauty Point. A più di un anno dalla chiusura dei primi negozi, il Tribunale di Tivoli ha rinviato ancora una volta al 28 ottobre la decisione sulla domanda di concordato presentata dalla società guidata dalla famiglia Cerasoli.
Nel frattempo, decine di lavoratori restano a casa, con crediti in alcuni casi per migliaia di euro e qualche mensilità verso l’azienda per cui lavoravano. Sullo sfondo, la manifestazione d’interesse avanzata dal gruppo Gardenia, ma limitata a 27 negozi sui 50 punti vendita diretti appartenenti alla società laziale.
La crisi, prima di tutto. E poi le difficoltà di settore, con l’avanzamento di diversi piani di concordato già bocciati, ma presentati per provare ad evitare il fallimento e dare una speranza alle centinaia di lavoratori e lavoratrici del gruppo. Questa, in sostanza, la storia trentennale di Beauty Point, guidata dai fratelli Laura e Gianluca Cerasoli.
Contattata per fornire la propria versione dei fatti, la proprietà, nella persona di Laura Cerasoli, si è prima impegnata a fare chiarezza sulla vicenda, ritirando poi la disponibilità in attesa della prossima udienza. Restano ancora inevase, perciò, le domande di alcune lavoratrici, a casa da un anno senza alcun sostegno economico, in attesa della pronuncia del tribunale sul concordato.
«Perché Beauty Point ha compiuto la scelta di affittare rami d’azienda? Cosa ne sarà delle mensilità in arretrato dei dipendenti, sia se il concordato fosse accolto, sia se l’esito fosse negativo? E i corrispettivi per le maternità e gli assegni familiari? Sulla base di quali criteri sono stati scelti i punti vendita da affittare a Gardenia, quelli da chiudere e i dipendenti da reimpiegare? È da un anno che sono a casa senza stipendio e la mia ex azienda, Beauty Point, non risponde neanche al telefono, nonostante mi debba cinque mensilità», racconta Elisa (nome di fantasia, ndr).
«I debiti non saldati con i lavoratori sono dovuti al congelamento dei crediti, conseguente alle richieste di concordato in corso di dibattimento in tribunale. Conosciamo la situazione di Beauty Point da tre anni, la proprietà registrò difficoltà già allora e intervenimmo per evitare i licenziamenti. L’azienda è una realtà a gestione familiare, e questo ha comportato difficoltà nell’intervenire rapidamente nella crisi. Noi poi contiamo pochi iscritti tra i lavoratori all’interno dell’azienda, e questo ci ha spesso limitato nell’azione sindacale», spiega al Corriere della Sera Luca De Zolt, che si occupa della vicenda per conto di Filcams-Cgil.
«All’origine di tutto c’è stata la difficoltà nell’accesso al credito con le banche, che ha messo in difficoltà l’azienda pressata dalla crisi. I lavoratori non assorbiti nei nuovi punti vendita, potrebbero avere diritto ai fondi della cassa integrazione qualora venisse approvato il piano che prevede l’affitto di rami d’azienda proposto da Gardenia a Beauty Point. Con la speranza di ricollocare altri negozi presso altre società», ragiona il sindacalista Cgil.
Secondo gli ultimi dati, a luglio 2014 i punti vendita diretti Beauty Point erano 50 in totale, dislocati soprattutto nel Lazio. La Gardenia, però, si prenderebbe carico soltanto di 27 negozi. E ovviamente, tutto questo avrebbe ricadute sull’occupazione.
Su 286 lavoratori, Gardenia ne re-impiegherebbe soltanto 126 (110 full time equivalenti). Durante le trattative con il sindacato, si è giunti ad un accordo che impegna La Gardenia a offrire ricollocazione nei propri negozi alle 26 unità oggi presenti nei 27 punti vendita che passerebbero sotto la sua gestione, ma che la società ritiene in esubero.
La differenza tra i 126 lavoratori interessati dalla procedura d’affitto di rami d’azienda e l’organico completo degli ex dipendenti Beauty Point (286), potrebbe invece aspirare soltanto alla cassa integrazione, legata in ogni caso all’accoglimento della domanda di concordato.
«Gardenia conferma la proposta d’acquisto già depositata e ha tutta la volontà di dare occupazione e riattivare le profumerie, restituendo continuità al settore», dichiara al Corriere della Sera Fabio Pampani, amministratore delegato del gruppo Llg Leading Luxury Group, società costituita lo scorso dicembre con l’acquisizione di Gardenia da parte del fondo d’investimento Orlando Italy, già proprietario di Limoni Profumerie.
«Il nostro interesse è legato all’esito della richiesta di concordato, ma l’intenzione del gruppo è riaprire i negozi e fare business, oltre a dare occupazione a 126 persone. La nostra scelta è caduta sui punti vendita più performanti e meno sovrapponibili territorialmente ai negozi Limoni e Gardenia. E se il tribunale di Tivoli approverà la proposta di concordato, il nostro gruppo liquiderà tutti gli arretrati e le spettanze degli ex dipendenti Beauty Point che lavoreranno per noi. Per gli altri deciderà il giudice concordatario, ma se il tribunale dovesse bocciare la richiesta di concordato, non ci sarà un piano alternativo», conferma Pampani, ad del gruppo Llg Leading Luxury.
Allo stato attuale, però, i continui rinvii in tribunale potrebbero finire per provocare un ulteriore deterioramento della situazione. L’esposizione dell’azienda dei fratelli Cerasoli potrebbe aggravarsi con il passare dei mesi, e compromettere il buon esito della proposta di concordato di Gardenia, provocando il fallimento della società e l’evaporazione delle risorse necessarie a saldare i crediti verso gli ex lavoratori, oltre a far saltare il reimpiego dei 126 dipendenti.
Intanto si continua a procedere a tappe forzate, dettate dai tempi della giustizia. Prossimo appuntamento, martedì 28 ottobre, quando si saprà qualcosa in più sul destino degli ex lavoratori Beauty Point, un’altra azienda italiana messa in ginocchio dalla crisi.