Contratti, Cgil: nuove regole per tornare a crescere
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Una quarantina di iscritti a parlare, una relazione introduttiva di un’ora, un’obiezione della minoranza bocciata e un’altra promossa. Poi le conclusioni di Susanna Camusso e il voto del direttivo Cgil, che dà il via libera al nuovo modello contrattuale illustrato, nei suoi contneuti principali - dal segretario Fabrizio Solari e indica nella mobilitazione su fisco e lavoro la strada del dopo sciopero generale. In Corso Italia si è appena chiusa la due giorni del parlamentino. Non un direttivo qualunque, ma quello in cui l’organizzazione si propone di riaprire i giochi con Cisl, Uil e Confindustria, in nome di un «patto per la crescita, come è successo nel 1993». Il direttivo ha approvato con 77 sì, 19 no e tre astenuti, i contenuti della relazione di Solari. Qualcuno fa notare che il documento ha raccolto l’80 per cento dei consensi,una percentuale più alta di quella che ha sostenuto la mozione maggioritaria dell’ultimo congresso. I voti però non raccontano l’animosità della discussione. Perché le novità che il modello per una nuova contrattazione introduce non sono da poco, e in parte si richiamano alla bozza criticata qualche settimana fa in primis da Giorgio Cremaschi. Si parte da una premessa significativa: «Un sindacato può fare tante cose ma non può fare a meno di fare contrattazione», dice Solari. Il punto più dibattuto è però il passaggio sul contratto collettivo pensato come «meno prescrittivo, meno dettagliato ma allo stesso tempo più inclusivo». Il sindacalista spiega: «Vanno ridotti nel numero i contratti nazionali ma questi devono poter rappresentare tutte le forme di lavoro, non solo quelle classiche ». L’idea è quella di modernizzare, di «provare ad aggredire i nodi della scarsa crescita attraverso un modello che escluda la logica delle deroghe,ma che preveda la possibilità di aderire a situazioni diverse, che si adatti cioè a realtà sempre meno omogenee». Per riuscirci c’è da «rilanciare il secondo livello di contrattazione facendo delle rsu - rappresentanze sindacali unitarie, ndr - e della generalizzazione di queste,non soltanto dei porta bandiera ma un soggetto contrattuale vero per rilanciare e rivitalizzare il ruolo che queste svolgono». Ma nulla di tutto questo può essere realizzato dalla sola Cgil. Alla base di ogni incomprensione c’è «la risoluzione del problema della rappresentanza e quello spinoso della democrazia». Con il voto di ieri, il sindacato di Susanna Camusso sembra voler invitare gli altri sindacati confederali e Confindustria a superare le divisioni del passato e giungere a un modello condiviso. Non un passo indietro ma una precisa «scelta politica», finalizzata «al raggiungimento di un obiettivo che allo stato attuale è la crescita del Paese, nella consapevolezza - aggiunge Solari - che c’è un rapporto diretto tra la crescita e il miglioramento delle condizioni di vita per le fasce che rappresentiamo ».
CONTRARI Tra chi alza la mano per esprimere le sue riserve c’è l’ex segretario generale delle Fiom, Gianni Rinaldini, che all’ultimo congresso è stato il primo esponente della mozione minoritaria «la Cgil che vogliamo ». Rinaldini chiede un time- out, che si fermi il dibattito. Non è possibile - sostiene - arrivare a una stretta così rapida su cambiamenti di questa portata, bisogna prima discuterne coi lavoratori. L’obiezione è bocciata. Il motivo, secondo gli esponenti di maggioranza Vincenzo Scudiere e Solari, è che il dibattito costituisce l’approdo di un percorso cominciato mesi fa all’attivo dei quadri di Todi, quando ancora il segretario generale era Guglielmo Epifani. Si va avanti, dunque. Anche sulla scelta - passata a voti - di continuare la mobilitazione lanciata per un fisco più equo, per il lavoro e per chiedere una politica economica al governo. Il segretario generale Susanna Camusso chiude la giornata con una sintesi breve e non rilascia commenti: «Parlano i documenti», concludono in Corso Italia