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03.09.2002 Conti pubblici, il fallimento di Tremonti Scontro Maroni-Pezzotta sull'inflazione. Angeletti: rispettate gli accordi o sarà sciopero Felicia Masocco
I conti dello Stato vanno male, più delle previsioni che già guardavano al peggio. Praticamente è un disastro, lo riconosce perfino il Tesoro costretto a giustificarsi con «l’andamento non soddisfacente dell’economia». Il fabbisogno pubblico è fuori controllo, l’importante indicatore di agosto, l’ultimo prima della defininizione della Finanziaria, decreta un «rosso» di 3 miliardi di euro a fronte di un avanzo di 2,828 miliardi dello stesso mese dello scorso anno. Nei primi otto mesi del 2002 il fabbisogno ha toccato quota 34,1 miliardi quando l’anno precedente era pari a 21,232 miliardi. L’incremento secco è di circa 13 miliardi di euro, la bellezza del 60,6% in più. In pratica significa che non c’è un euro per finanziare le promesse berlusconiane a cominciare dalla riduzione delle tasse e gli ammortizzatori sociali, cioè per i due cardini del famigerato Patto per l’Italia che ha introdotto la libertà di licenziare e sarà inoltre dura per i dipendenti pubblici vedere tutelato il potere d’acquisto dei loro stipendi. E ne faranno le spese anche scuola e sanità.
Ce n’è abbastanza per far puntare i piedi a Cisl e Uil che ora reclamano il mantenimento degli impegni presi dal governo. «Altrimenti sarà sciopero, magari insieme a Cofferati», rompe gli indugi il segretario della Uil Luigi Angeletti dopo che il numero uno della Cisl Savino Pezzotta aveva dato a Maroni il suo aut-aut sul rinnovo dei contratti pubblici. Il patto stretto in luglio comincia a mostrare crepe vistose, mentre l’opposizione attacca: ci vuole una nota aggiuntiva alla Finanziaria, il governo riferisca in Parlamento.
Lavoratori e famiglie sono chiamati a pagare l’incapacità e la malafede del governo e pagheranno due volte. Un’altra conseguenza sarà infatti una Finanziaria salatissima che rischia di rivalersi sulla spesa sociale, pensioni in primis. Perché oltre alle ipotesi dei condoni su cui pesa il veto della Ue, il governo difetta di idee su come far cassa e ripianare il buco che ha provocato. Conti alla mano ci vorrà una «correzione» di 15 miliardi, al netto degli interventi su scuola, fisco e pubblico impiego, fa notare l’ex ministro dell'Industria Pierluigi Bersani, oggi responsabile economico dei Ds. «I dati dal fabbisogno lo confermano - dice -. Ci sono tendenze visibili che sono state ignorate. Chiediamo al governo di tornare in Parlamento e di smettere di attribuire le cose che non vanno all'opposizione. Questo significa ritardare la cura». Il catastrofico balzo in avanti del fabbisogno agostano battezza dunque in malo modo l’apertura della stagione della Finanziaria, in barba alle tante rassicurazioni e ai miracoli economici cui a questo punto non crede più nessuno. Una manovra «virtuale», senza alcuna attinenza con la realtà come quella presentata lo scorso anno trascinerebbe l’Italia in un tunnel. Il peggio «deve ancora venire» per Vincenzo Visco, ex titolare del Tesoro: «Visti i dati di oggi -spiega - il rischio è che per la prima volta dal '95 il debito pubblico smetta di diminuire rispetto al Pil. Se questo si verifica per l'Italia sarebbe un colpo durissimo. Anche perché, avverte, a novembre con l'autotassazione vedremo gli effetti sul gettito della Tremonti-bis e dei provvedimenti senza copertura varati dal governo. Chiuderemo l'anno con un fabbisogno sopra i 40 miliardi». Come dire che tutto il risanamento degli anni passati «se ne va in fumo in un solo anno di governo della destra». Fare finta di nulla a questo punto non è più possibile, «Cosa altro deve accadere affinchè il Governo modifichi il Dpef?», si domanda il responsabile economico della Margherita Enrico Letta; mentre il capogruppo della Margherita alla Camera, Pierluigi Castagnetti, prevede una Finanziaria «pesantissima».
Come pesante s’è fatta l’aria tra i sindacati firmatari del Patto per l’Italia e il ministro del Lavoro. Ad accendere la miccia l’altolà di mezzo governo sui rinnovi dei contratti pubblici che l’esecutivo vuole inchiodati al tasso di inflazione programmato, cioè l’1,4% da tutto il sindacato giudicato irrealistico. Dopo La Cgil, è da Pezzotta che arriva un fragorosa «niet» e l’annuncio di una piattaforme contrattuali più aderenti alla realtà. «In tutti questi anni il modo di comportarsi è stato quello di partire dal tasso di inflazione programmata e poi recuperare l'inflazione. Se qualcuno ha cambiato idea lo dica chiaramente», è stata la riposta del ministro del Lavoro. È la fine di un feeling? Sicuramente il rapporto si è fatto nervoso e lo è diventato ancor di più dopo la diffusione dei dati del fabbisogno. Alla Voce di Pezzotta si è aggiunta quella di Angeletti con richieste all’unisono: i patti vanno rispettati, «voglio comunque la riduzione delle aliquote fiscali e nessun taglio alla spesa sociale», ha detto il leader della Cisl.
Dal governo reazioni imbarazzate: da Mirabello, dove è in corso la festa Tricolore Giulio Tremonti, il ministro che più di ogni altro avrebbe qualche spiegazione da dare esordisce dicendo che «il momento è complesso», «dunque è bene che io parli solo di riforma fiscale...». Poi tenta ancora un arassicurazione, «rispetteremo i patti...». Da Telese alla festa dell’Udeur, un altro ministro economico, Antonio Marzano dice di voler «analizzare i dati» prima di fare commenti. Dal Tesoro si fa sapere che il fabbisogno è atteso in miglioramento nei prossimi mesi, quando arriveranno i benefici contabili di 7 miliardi di cartolarizzazioni e si rileva che i dati di agosto vanno inseriti in un contesto europeo. Laconico il commento della cgil: «I dati sono drammatici e spero impongano al governo un cambio di strategia - afferma Beppe Casadio -. Esca dalla logica degli annunci di propaganda e guardi in facciua alla realtà».
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