Colombo al contrattacco sul fallimento Ventaglio
Contenuti associati
La famiglia Colombo passa al contrattacco su Viaggi del Ventaglio: i fondatori della compagnia faranno ricorso contro il fallimento dello storico marchio del turismo, finito in crack per volere dei giudici a metà luglio. Secondo quanto si è appreso, i legali dei Colombo, Sergio Scotti Camuzzi e Umberto Tracanella, sono al lavoro per presentare le carte al Tribunale entro Ferragosto. Già la settimana scorsa la società e il patron Bruno Colombo avevano fatto ricorso contro la revoca del concordato, avanzata dal commissario Giuseppe Verna: ora arriva l'affondo più pesante, ossia smontare l'impianto dei giudici che hanno messo la parola fine sulla società (così come hanno fatto per Mariella Burani Fashion Group). Il fallimento di Ventaglio è stato chiesto dal pm Luigi Orsi e la scomparsa del tour operator, schiacciato da un buco di 200 milioni di euro, ha colto molti di sorpresa
Eppure il fallimento non è una vera sorpresa. Perché da molto tempo il dissesto era scritto, in filigrana, nei bilanci: quello che ha visto capitolare il patron Bruno Colombo è un classico crack annunciato. Un crack lungo otto anni: l'azienda che ha fatto la storia del turismo familiare in italia ha sempre navigato nei debiti E proprio il debito è il "peccato originale" di Ventaglio, quello che ha iene- stato una spirale (bond, derivati, aumenti di capitale) da cui non si vedeva l'uscita.
Le radici della crisi risalgono indietro nel tempo: lo spartiacque è 11 2002, anno in cui Ventaglio lancia un bond da 100milioni che andava ripagato chili a 3 anni. Ma Ventaglio non era in grado di fronteggiare un impegno così oneroso. Passa nemmeno un anno e arriva il primo allarme: lo lancia Banca Akros. Gli analisti fanno due conti e si rendono conto che il tour operator non riuscirà a produrre sufficiente liquidità: il rimborso del bond è una chimera. E avvertono: Ventaglio dovrà chiedere soldi al mercato, almeno 50 milioni, e vendere qualche gioiello di famiglia, magari i villaggi turistici di proprietà.
La profezia di Akros si rivelerà esattissima e un anno dopo, prima ancora che Consob inserisca Ventaglio nella «black list», tocca alla Deloitte rinnovare l'allarme: non ci sono soldi per ripagare il bond. Vendere per far fronte agli impegni finanziari, in un'affannosa corsa a tenere a bada i debiti, diverrà una costante della società.
Il peccato originale
Ancor prima dello sbarco in Borsa, nel 2001, Ventaglio si muoveva sul filo del rasoio. La creatura di Colombo cresce, e tanto in termini di fatturato, diventa un big, ma non lo fa con i soldi suoi. Nel 1998 realizza 570 miliardi di lire di fatturato con un Mol di i6 miliardi. Ma l'indebitamento è a quota 130 miliardi contro un patrimonio della società di appena 10 miliardi. Debiti per 13 volte il capitale e quasi io volte il margine industriale: già allora lo stress finanziario era enorme. Arriva la quotazione nel 2oo1: Ventaglio incassa 41 milioni di euro. È solo una boccata d'ossigeno perchè già un anno dopo la situazione è di nuovo critica ricavi per 544 milioni di euro, ma con perdite per i5 milioni. I debiti sono 105 milioni, otto volte il Mol. Tanto.
La mina derivati
Non bastasse la spada di Damocle del bond, Ventaglio finisce anche nella palude dei derivati: per coprirsi dal rischio cambio sul dollaro l'azienda si riempie di prodotti strutturati per 170 milioni, mala scommessa è perdente e porta a pesanti minusvalenze (27 milioni nel solo 2003). In più .anche le catastrofi naturali e il terrorismo sembrano accanirsi contro la società. La situazione non migliorerà e negli anni a seguire Ventaglio avrà sempre bilanci in rosso, con perdite via via crescenti (fino ai 90 milioni del 2009). La Consob non ci vede chiaro e impugna due bilanci (quello del 2005 e 2006). Unica eccezione il 2007: Ventaglio è inutile, ma sola grazie a plusvalenze straordinarie L'anno dopo Ventaglio torna in perdita dal 2002 il passivo cumulato è di 26o milioni.
In tutti questi anni Ventaglio ha venduto via via pezzi del suo impero per tamponare le falle. Ma il sollievo è sempre momentaneo. Le banche arrivano in soccorso nel 2004: prestano 113 milioni per ripagare il bond. La mina default è disinnescata; ma non il nodo del debito. Poi è la volta, nel 2006, dei villaggi, venduti per circa 90 milioni. E poi ancora della compagnia aerea charter Livingston, ceduta per 44. milioni e infine di altri pezzi.
Girandola di manager...
Ventaglio è sempre stata rinomata sul mercato per i difficili
rapporti tra famiglia e manager. I Colombo, fondatori dell'azienda, decidono sempre e comunque tutto. Soprattutto il patron Bruno: personalità influente nel mondo del turismo, dove è venerato come un guru, e accentratore nella gestione. Per anni Colombo hanno gestito in prima persona, ma quando le cose si mettono male chiamano manager esterni. Nel 2004 arriva, dal gruppo Camuzzi, Claudio Calabi. Il manager (oggi in,Risanamento) ha un compito ben preciso: trattare con le banche una soluzione ai due nodi del bond e dei derivati. Ci riesce, ma subito dopo lascia, nel 2005.I1 timone ritorna a Colombo che lo tiene per due anni per poi chiamare un nome noto del settore: Andrea Tomei, un ex Alpitour. Rimane in sella poco più di un anno, giusto in tempo per firmare l'unico bilancio in utile in nove anni. Altri otto mesi di poteri ancora alla famiglia e poi lo scorso giugno, quando già l'azienda scricchiola pericolosamente, l'ennesimo ad: Carlo Gatto. È una meteora: tempo una settimana e si dimette.
..e di cavalieri bianchi
I manager non sono i soli ad alternarsi. Anzi, negli anni, decine i potenziali acquirenti o investitori sempre sul punto di arrivare. Nel solo 2006 si susseguono rumor su sei cavalieri bianchi (dal fondo M&C a Palamon). Alla fine il socio arriva, ma, col senno di poi, è servito a poco: è Cornell Capital, allora semisconosciuto fondo americano specializzato in complesse ricapitalizzazioni, spesso su società decotte. «Un sogno all inclusive» è il titolo dell'autobiografia che Colombo scrisse qualche anno fa. Chissà se anche il fallimento, i titoli divenuti carta straccia e lo spettro della bancarotta erano anch'essi compresi nel prezzo.