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FINANZA
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lunedi 15 Ottobre 2001
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pag. 41
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Coin, conto alla rovescia per l’uscita di Piergiorgio Netto recupero in questi giorni
Non è l’avvelenata saga familiare stile Campari, ma qualcosa in comune tra Coin e la maison dell’aperitivo esiste: i difficili rapporti tra fratelli. In comune hanno anche lo studio D’Urso, che sta assistendo sia Maddalena Garavoglia contro il fratello e la madre (Campari) sia Piergiorgio Coin contro il fratello Vittorio, che a sua volta è assistito dallo studio Chiomenti. E, proprio in questi ultimi giorni, starebbe maturando la soluzione: ben prima della fine dell’anno, secondo gli ottimisti, l’intreccio azionario tra i due verrà sciolto e Piergiorgio sarà quasi completamente fuori dalla società che porta il nome di famiglia. Come è già successo per la Safilo (altra saga familiare, con fratelli che litigano), potrebbe persino profilarsi la possibilità di un’opa in Borsa: se infatti alla fine della vicenda Vittorio si troverà a controllare direttamente più del 30% del gruppo sarà costretto a lanciare un’opa sul mercato. Ma i ben informati sostengono che l’opa sarà comunque «ininfluente» per Vittorio; il che fa pensare che c’è un altro socio in arrivo, magari il gruppo Pinault, con cui il gruppo Coin ha già rapporti operativi (nella Fnac Italia) e Vittorio ha grandi rapporti di amicizia. Di sicuro, i due studi stanno ragionando per ridurre al minimo gli effetti fiscali (ed ereditari, cosa che potrebbe agevolata da eventuali misure Tremonti) e per evitare l’opa, magari spezzettando il passaggio delle quote in più tempi (e a più soci). La Coin, approdata in Borsa nel giugno del ’99, ha una storia antica alle spalle e, come nel caso della Campari, è la seconda generazione a decidere la strada della quotazione. I due fratelli, Piergiorgio e Vittorio, si sono grosso modo alternati ai vertici del gruppo, ma il maggiore (anche se solo di un paio di anni) ha sempre avuto maggiore visibilità (e la carica di presidente). Il mese successivo all’esordio a Piazza Affari, un drammatico cda chiama alla presidenza Vittorio. Piergiorgio si sente estromesso e decide di vendere parte delle sue quote. Il litigio pubblico non fa certo bene al titolo appena arrivato al listino e, abbastanza rapidamente, si arriva ad una impasse (con strascichi anche legali). Piergiorgio vuole uscire, ma non accetta le condizioni di Vittorio, il quale ha diritto di prelazione sulle azioni in questione. Per capire l’intreccio familiare e societario bisogna fare un piccolo passo indietro, al ’76, quando il gruppo si struttura con l’Accomandita Piergiorgio e Vittorio Coin, e una spa, Fincoin. Queste controllano la Selefin, holding che a sua volta controlla Coin spa e Oviesse. Nel ’97 la struttura del gruppo viene un pochino snellita: Selefin esce di scena, Coin e Oviesse vengono fuse per incorporazione nella Gruppo Coin spa. E, tappa fondamentale, arriva Paolo Ricotti come amministratore delegato. E’ praticamente l’assetto definitivo, con cui la società va in Borsa: a monte, è controllata al 54% dall’accomandita e al 17% della FinCoin; il resto è flottante. Nelle società di famiglia le quote sono ripartite al 50% tra i due fratelli, che hanno diritto di prelazione reciproco. Piergiorgio non accetta le condizioni di Vittorio e nel maggio Duemila si rivolge al tribunale di Venezia, per ottenere l’invalidazione o la liquidazione delle due società a monte, sostenendo che società e amministratori sono in conflitto di interesse tra loro. E mentre i giudici avviano la macchina della giustizia, i due fratelli trattano per arrivare ad una soluzione. Che, ad un certo punto, sembrava a portata di mano: nel maggio scorso era stata persino fissata un’assemblea straordinaria della Coin per approvare la fusione con l’accomandita sulla base di un rapporto di concambio di uno a uno. Un’assemblea che non si è ancora tenuta ma che, ora, potrebbe essere sul punto di essere di nuovo convocata. Ma se l’azionariato è riottoso, la società sta lentamente migliorando il conto economico. La semestrale al 31 luglio appena approvata mostra infatti un aumento del fatturato del 47,4% (il 19,6 a parità di perimetro) e un balzo del 130% del margine operativo lordo. Tuttavia il risultato prima delle imposte resta ancora negativo sebbene in netto recupero: un anno fa il rosso era pari a 26 milioni di euro, ora è sceso a 9. Sulla gestione pesano infatti i massicci investimenti per riconvertire la rete ex Standa (ormai quasi completata) e soprattutto la catena tedesca Kaufhalle, trasformata in punti vendita Oviesse. E proprio da questo segmento, la fascia bassa del mercato, il gruppo si aspetta i risultati migliori, soprattutto in una congiuntura di consumi calanti. In realtà anche nei tempi passati Oviesse ha dimostrato di correre più dei punti vendita Coin, che continuano ad essere posizionati un po’ a metà strada, tra il negozio di moda e le catene a costi contenuti. (vi.p.)
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