Cgil: vergognosi i decreti sull’indennità del lavoro a chiamata
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mercoledì 24 marzo 2004
precarizzazione
La Cgil: sono vergognosi i decreti sull’indennità del lavoro a chiamata
MILANO Tra i 180 e i 250 euro al mese. È il prezzo della precarietà, fissato con decreto del ministero del Lavoro. Tanto infatti percepiranno i lavoratori «a chiamata», o in contratto di somministrazione, in attesa che squilli il telefono per la convocazione. La decisione è stata criticata dalla Cgil che accusa il governo di continuare «nella sua politica di precarizzazione del lavoro» e definisce i provvedimenti sulle indennità «vergognosi». Ma la critica della confederazione riguarda anche il metodo seguito dall’esecutivo. I sindacati - affermano in corso d’Italia - continuano ad apprendere di norme relative ai contratti di lavoro e al mercato del lavoro dalle conferenze stampa del ministro o da qualche quotidiano. «Siamo ormai al paradosso: relazioni sindacali prossime al rifiuto, non solo del confronto, ma anche del semplice scambio di informazioni». Quanto poi al merito dei provvedimenti, la Cgil considera il lavoro a chiamata «la massima mercificazione del lavoro» e ritiene che i soggetti più deboli, a cui il nuovo contratto si rivolge «vengano privati di ogni diritto e tutela, incerti sulla reale consistenza di un reddito variabile di giorno in giorno, obbligati ad aspettare una possibile, ma non certa, chiamata al lavoro». Una condizione che considera «la negazione della dignità del lavoro e della persona, costretta a vivere in una precarietà che da oggi ha anche un prezzo: il 20% della paga, cioè in media tra i 180 e 250 euro al mese». Analogamente, la Cgil ritiene inaccettabile il contratto di somministrazione a tempo indeterminato che, sostiene, «punta a rompere, indennità o meno, la vera identità del datore di lavoro, dirottando la catena di comando dentro le aziende, minacciando la tenuta dei contratti collettivi di settore e lo stesso diritto alla rappresentanza sindacale nei luoghi dove realmente si svolge la prestazione di lavoro». Motivi per i quali «la Cgil continuerà a battersi attraverso tutti gli strumenti dell'azione sindacale, giudiziaria e contrattuale - assicura la confederazione - per evitare che tali tipologie di lavoro possano entrare nelle aziende italiane».
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