2/5/2007 ore: 11:08
Cgil al bivio tra il Pd e la sinistra
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Pagina 11 - Politica La tensione tra politica e sindacato tra il Pd e la sinistra ROMA E perché non direttamente leader della sinistra?». Dicono che Guglielmo Epifani abbia sorriso, quando gli hanno riferito delle voci che ascrivevano in quota alla sinistra che dovrebbe nascere sull’asse Mussi-Salvi-Bertinotti, proprio lui, alieno dal firmare qualsivoglia mozione congressuale ancorché iscritto ai diesse, e così critico con il Partito democratico al congresso di Firenze. Ma tutto congiura: il gran capo non si schiera, tallonato da una segreteria confederale che tifa per metà a sinistra e per metà Pd: se lo facesse, si spaccherebbe la Cgil. Certo c’è un’ottima, pluidecennale amicizia che lo lega a Fausto Bertinotti, che com’è noto alle origini della sua folgorante carriera politica era un cigiellino, gran capo dei Tessili. Lui e Bertinotti della cosa non han parlato, come di certo capiterà nei convenevoli dell’uno maggio, sul palco insieme a Torino per la festa nazionale del lavoro. Il pedigree mai comunista di Epifani, socialista non scevro da un certo «penchant» per Craxi, e che di formazione sarebbe filosofo e ammiratore di Anna Kuliscioff, incrocia meglio la biografia politica di un Bertinotti che non quella di un Fassino o di un Rutelli (e infatti si segnala, in area ds, semmai un rappporto Epifani-D’Alema, avendo entrambi a lungo vagheggiato ai tempi del Prodi Uno un’unità sindacale ai limiti del sindacato unico). Ma intanto a Corso d’Italia, quartier generale della Cgil, li hanno soprannominati «i quattro dell’Apocalisse»: il segretario della Funzione pubblica, quello della Scuola, quello dell’Agrindustria, oltre naturalmente a quello dei Metalmeccanici, stanno con la sinistra. Guglielmo Epifani si ritrova con altrettanti segretari confederali apocalittici, e altrettanti decisamente integrati nel Partito democratico. Una situazione non nuova, e simmetrica a quel che accadde già prima del congresso di Pesaro, con metà Cgil schierata con Mussi, e l’altra metà con Fassino. Ma una situazione inedita perché, come dice Gianni Rinaldini della Fiom «qua c’è un terremoto politico», e che ne sarà, non oggi ma in futuro, dell’autonomia del sindacato dai partiti, che ne sarà della «castità politica» della Cgil, con Cisl e Uil già schierate col Pd? E soprattutto, se sentite uno di sinistra-sinistra come Rinaldini vi spiega che «il sindacato non può che stare con chi mette i lavoratori al centro dell’agire politico». Se sentite uno come Cesare Damiano, fassiniano della prima ora, sindacalista da una vita, oggi ministro del Lavoro, vi spiega che «la base è molto più orientata col Pd: basti guardare il successo della mozione Fassino nelle sezioni aziendali, a Roma per esempio gli operai, specie delle municipalizzate, han dato un 13 per cento in più della media nazionale del 75,5». Il rischio, con Epifani che pungola il Partito democratico come pungola il governo, («vi siete dimenticati il lavoro» ha detto al congresso di Firenze, ed è stata ovazione al passaggio del discorso che suonava «non ci può essere equidistanza tra lavoro e impresa») è che «almeno in questa fase i sindacati di riferimento del Pd diventino Cisl e Uil». Lo dice Loris Campetti, studioso del sindacato, il quale ha un fondato sospetto: «Epifani per ora non appoggia il Pd e mantiene equidistanza per non mandare allo sbaraglio la sua organizzazione». Come dire che quando sarà nato il Pd, la Cgil, 5 milioni e 600 mila iscritti, e di questi solo il 10 per cento con tessera di partito in tasca, la Cgil non potrà che stare con la formazione più consistente. Il sismografo che Campetti tiene sotto osservazione sono le Camere del Lavoro, a maggioranza schiacciante per il Pd. Come finirà davvero, tuttavia, è troppo presto per dirlo. Di certo, le motivazioni degli «apocalittici» sono efficaci: il Pd non ha al centro il lavoro, «Fassino terrà al massimo sul tema della laicità». Ma i partitodemocrati lo sanno, e infatti Cesare Damiano e Tiziano Treu stanno fondando assieme la componente «labour» del Pd. «E poi le critiche della sinistra sono ingiustificate, dai congressi di Quercia e Margherita è uscito il «Manifesto del lavoro». Già, ma quello è considerato «insufficiente» perfino da Marigia Maulucci che, pur non iscritta ai diesse, sta coi fan del Pd. |