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(Del 15/3/2002 Sezione: Economia Pag. 9)
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TRE DEROGHE SUI LICENZIAMENTI. IL PREMIER: ADDOLORATI PER UNA PROTESTA TUTTA POLITICA |
Cambia l´art.18, sarà sciopero generale Il governo: tolto un tappo alla crescita |
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ROMA
Approvate le deroghe all´articolo 18 e sancito lo strappo con il sindacato che marcia compatto verso lo sciopero, il governo passa alla fase due dell´operazione sul lavoro. «Dobbiamo spiegare agli italiani le nostre ragioni» ha ribadito ieri ai suoi ministri il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, seccato di aver perso con il sindacato il primo round sul terreno a lui più caro, quello della comunicazione. Non perde un attimo il premier, e pochi minuti dopo il Consiglio dei Ministri è in sala stampa, con il piglio determinato a trovare le parole giuste per spiegare che no, non sarebbe davvero comprensibile «uno sciopero dei pensionati, cui non viene tolto un solo diritto, contro i propri figli a cui vogliamo dare un lavoro». A chiosare il ministro Maroni che si scaglia contro le «falsità aberranti» della Cgil, per dire che il nuovo articolo 18 «aggiunge diritti», che rimuove «un tappo alla crescita delle imprese». Secondo elemento della strategia, togliere argomenti al sindacato, prima di tutto quelli tecnici. «Siamo dispiaciuti e addolorati che il sindacato abbia deciso solo per ragioni politiche, la Cgil, di scendere in piazza. E che la Cisl e la Uil - aggiunge Berlusconi - abbiano fatto dell´articolo 18 una bandiera, spingendole ad unirsi nello sciopero». Il sindacato non è più un soggetto da convincere, ma un avversario politico, a cominciare da Sergio Cofferati che accoglie Berlusconi al suo arrivo a Barcellona per il Consiglio Europeo, alla testa di un corteo sindacale. «Ogni occasione è buona per far festa. Ormai i professionisti dei girotondi che si spostano - ironizza il premier - hanno trovato un modo nuovo per passare il tempo e per campare la vita». Il segretario dei Ds, Piero Fassino, accusa l´esecutivo di un «atto di arroganza e di disprezzo verso milioni di lavoratori», di «cercare lo scontro sociale, cui non mancherà la risposta unitaria dei lavoratori». Replica invece Beppe Pisanu, ministro per l´Attuazione del programma, «che Cofferati mira a fare il leader della vecchia e della nuova opposizione per guidare lui, poi, da sinistra lo scontro col governo» e che «per questo il governo continuerà a sottolineare il carattere politico dello scontro: lo accettiamo fino in fondo senza alcuna esitazione». Su questa strategia il governo, dice Berlusconi, ha ritrovato compattezza, facendo rientrare le perplessità dei centristi e di alcuni esponenti dell´ala sociale di An che pure in consiglio dei ministri, anche oggi, hanno dato battaglia. Secondo alcune fonti, si sarebbe infatti registrata una «animata discussione» e anche un battibecco tra Giuliano Urbani e Rocco Buttiglione a causa dell'ennesima sortita di Luca Volontè, capogruppo dell'Udc alla Camera, che ieri, in un'intervista a La Stampa, ha ipotizzato il voto di fiducia sull'articolo 18. «Il governo è convinto, sereno e concorde» ha detto Maurizio Gasparri, mentre Carlo Giovanardi, ha testimoniato «l´adesione convinta del Ccd». Soddisfatto Berlusconi e chi, nel governo, da sempre preme per una svolta riformatrice innovativa. Come il ministro Antonio Marzano, il primo, quest´estate, a mettere sul tappeto il problema dell´articolo 18: «è una decisione giusta. Certo, il clima si fa teso, ma dobbiamo guardare oltre alle reazioni sindacali». O il ministro Maroni: «se oggi il governo facesse retromarcia e si bloccasse sulle riforme, non ci sarebbe nessun motivo per il governo di chiamarsi tale. L´esecutivo è nato per fare le riforme e sulla base di questo obiettivo la Lega ha aderito». Di fronte al rifiuto dei sindacati «di fare passi avanti per attribuire maggiori tutele ai lavoratori e migliorare la competitività del paese», di «fornire suggerimenti concreti alternativi», riassume Berlusconi, «il governo si prende con dolore la responsabilità di procedere nell´impegno assunto con gli elettori di aumentare l´occupazione in Italia, la Cenerentola dell´Unione Europea», come sta facendo con gli altri impegni di legislatura, a cominciare dall´adeguamento delle pensioni minime. Maroni spiega che la riforma non serve per licenziare ma per creare nuovi posti di lavoro, che in otto anni aumenterà il tasso di occupazione dall´attuale 53 al 60%, e che il governo è talmente convinto della sua efficacia «da decidere già tra soli due anni di mostrare al paese, dati alla mano, che l´occupazione crescerà». E´ la delega approvata ieri dal Consiglio, e che Maroni vorrebbe licenziata dal Parlamento entro l´estate, a prevedere una verifica nel 2004. Più o meno la data in cui sarà pronto il nuovo Statuto dei Lavori, che nella delega non c´è, ma che sarà affidato a una «commissione governativa» dopo l´avviso delle parti sociali, già convocate da Maroni. Confermate le tre deroghe all´articolo 18 (per i lavoratori emersi, per chi passa da un contratto precario a uno a tempo indeterminato al sud, per le nuove assunzioni nelle imprese che hanno meno di 15 dipendenti), Maroni dice che il tavolo di confronto con le parti sociali sulla delega riprenderà, convinto che si tratti di lasciar passare solo «questo primo momento di eccitazione». |
Mario Sensini
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