di Giuseppe Laterza
Domani si apre a Torino la Fiera del Libro. Il principale appuntamento degli editori italiani cade in uno scenario politico trasformato dall’esito delle elezioni di domenica: il capo del governo italiano sarà con ogni probabilità Silvio Berlusconi.
Che oltre ad essere un leader politico è anche un editore. E per la precisione è l’azionista di riferimento della più grande casa editrice italiana, la Mondadori. Un’azienda che controlla più del 30% del mercato librario, direttamente e attraverso una costellazione di case editrici di diverse dimensioni, e che opera in molti settori (dalla saggistica alla narrativa, dallo scolastico ai libri per ragazzi). Si è parlato molto negli ultimi mesi di conflitto d’interessi. Sempre o quasi come una questione politica, anzi partitica, sulla quale dividersi tra destra e sinistra.
Ma il conflitto d’interessi non è solo una questione politica. La sovrapposizione tra potere economico-finanziario e potere esecutivo che si produrrà in Italia con la nomina di Berlusconi a presidente del Consiglio metterà in gioco i presupposti della concorrenza e del mercato prima ancora che quelli della democrazia. Le aziende di Berlusconi operano in posizioni rilevanti su molti mercati: oltre ai libri, anche i giornali e la televisione, il calcio, la pubblicità, le assicurazioni.
Chi garantirà i loro concorrenti di un uso imparziale dell’indubbio potere di condizionamento del primo ministro? Come si potrà non guardare con sospetto ogni provvedimento del governo in materia di economia? Negli ultimi anni la cultura economica italiana si è faticosamente modernizzata e ormai anche da noi è opinione diffusa che il potere pubblico dovrebbe limitarsi a fissare le regole e a farle applicare, mentre il privato gioca la partita, entro tali regole, in maniera libera e trasparente.
Eppure fino a oggi sul conflitto d’interessi la comunità degli affari italiana sembra non aver voglia di esprimersi, delegando la questione ai politici. Anche le associazioni che rappresentano le principali categorie economiche sono state silenti, forse per paura di essere strumentalizzate dallo scontro elettorale. Ormai le elezioni sono alle nostre spalle e il conflitto d’interessi è un dato di fatto.
Preoccuparsene non può più in alcun modo essere interpretato come una presa di posizione a favore di una o dell’altra parte politica. La Confindustria di Antonio D’Amato, la Confcommercio di Sergio Billè, l’Associazione delle Assicurazioni di Alfonso Desiata (come, sull’altra sponda, le associazioni dei consumatori) a questo punto non hanno più motivo di tacere e l’Associazione Editori, che terrà una propria assemblea venerdì al Lingotto, è la prima a potersi esprimere.
Il tema del conflitto d’interessi è troppo rilevante per il futuro del Paese per lasciarlo ai politici o al diretto interessato. In questo momento, e più che mai, conta l’orientamento dell’opinione pubblica e del ceto dirigente. Non è in gioco una scelta ideologica, ma la più chiara delimitazione dei confini tra politica ed economia. Scelta essenziale per consentire al Paese di competere e crescere in modo moderno e civile nei prossimi anni.
*Editore
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