1/10/2002 ore: 9:33

Berlusconi fa il gioco delle tre carte

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01.10.2002
Berlusconi fa il gioco delle tre carte

di Marcella Ciarnelli


 Quando definisce «di ferro» il suo governo, Silvio Berlusconi si sente molto Margaret Thatcher, uno dei suoi modelli preferiti. Sul far della sera, a Palazzo Chigi, in una sala Verde stipata all’inverosimile, il premier si esibisce nella sceneggiata «finanziaria che non toglie ma dà» dividendo la scena con un rappresentante per ogni partito della coalizione. Non necessariamente esperto in economia. Ma testimonial di una maggioranza che a tutti i costi vuol far credere di essere unita e coesa. Fini alla sua destra, Tremonti alla sinistra, Buttiglione e Maroni alle ali. Ascoltano assorti e forse un po’ assonnati data la notte in bianco trascorsa per cercare di mettere d’accordo le diverse esigenze che sui ministri qualche traccia l’ha lasciata, come ci tiene a sottolineare Berlusconi lo stakanovista, che si scusa per la mancanza di sintesi di alcuni dei suoi colleghi.
Lui va dritto per la sua strada a magnificare la Finanziaria «di un governo che mantiene le promesse e rispetta il patto per l’Italia e quello di stabilità» oltre al contratto con gli italiani siglato in tv. Una manovra «innovativa e senza precedenti» all’insegna del «meno sprechi», che «non tocca la spesa sociale e che imbriglia le spese della pubblica amministrazione». Un’operazione che è una sorta di inno alla gioia perché è dovere del governo e, innanzitutto, del premier «diffondere ottimismo così come ho letto in un discorso del ministro Ezio Vanoni», un politico che se fa gioco si può prendere ad esempio,che nel 1951 fu autore di una riforma tributaria che stabilì la riorganizzazione degli uffici finanziari.

Una manovra del sorriso a tutti i costi. Anche se i mercati crollano solo all’ipotesi che possa scoppiare la guerra che tanto piace al suo amico Bush. Anche se non va a genio alla maggioranza del sindacato, ai sindaci e i presidenti di Regioni che, ne è sicuro il premier, alla fine si ricrederanno «perché una gestione più attenta che nel passato è dovuta. Ce lo chiedono i cittadini e gli esperti: dobbiamo diminuire la spesa pubblica ed operare riforme strutturali» in modo da innestare un circolo virtuoso che in questo momento vedono solo lui e i suoi.

I dettagli della Finanziaria di Robin Hood il premier li ha lasciati alla complicata dialettica di Giulio Tremonti, gran maestro del celare dietro termini termini tecnici, preferibilmente inglesi, le fregature messe insieme per gli italiani. Lo fa con imbarazzo mascherato da stanchezza. Ma il premier in persona ci ha tenuto a confermare che nella manovra definita all’alba non è prevista nessuna riforma delle pensioni. «Su questo argomento sta lavorando l’Europa per aumentare l’età pensionabile». Come la pensa lui è cosa nota: «Non credo sia giusto far gravare un cittadino per altri trent’anni sulle spalle dei più giovani».
Gianfranco Fini si prende poco spazio, giusto il tempo per attaccare l’opposizione che a suo parere definendo «demagogica e populista» la manovra dimostrerebbe di avere armi spuntate al suo arco. Glissa sulla devolution, ferita aperta su cui non è caso nel giorno della gloria di gettare sale, il ministro Maroni che preferisce vantare il rispetto del patto con Cisl, Uil e gli industriali. Perde l’occasione di tacere Rocco Buttiglione quando, per un eccesso di zelo, fa notare a quanti insistono sul conflitto d’interessi di Berlusconi che «poiché chiediamo sacrifici solo alle grandi imprese che hanno realizzato utili elevati, con questa finanziaria le aziende del premier perdono diverse decine di miliardi».

Sulla lunga notte dei tagli ai ministeri solo notizie rassicuranti. «È stata una discussione vivace» conferma il premier che sull’evidenza non può mentire. «Bene hanno fatto i ministri nel difendere le proprie posizioni ma altrettanto bene ha fatto il premier -sottolinea Berlusconi parlando in terza persona -a contenere certe richieste». Nell’elenco degli scontenti in testa ci sono Letizia Moratti, Girolamo Sirchia, Beppe Pisanu e Lucio Stanca. Medaglia d’oro ad Antonio Marzano che si era illuso di gestire i fondi per il Mezzogiorno. Niente da fare. Il premier si è accaparrato un altro interim. I fondi per il Sud li gestirà Berlusconi in persona tra un viaggio all’estero, un vertice e un incontro da premier.




   

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