24/9/2002 ore: 9:46
Benetton: un impero che fattura otto miliardi di euro
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sabato 21 settembre 2002
La storia / I signori del Nord-Est
Un impero che fattura
otto miliardi di euro
La famiglia ha la più alta quota di possesso in Telecom e Olivetti
Il fatturato di Benetton Group è 2,1
miliardi di euro. Altri numeri rendono
meglio le dimensioni di una leadership
tessile: 60 milioni di chilometri
di tessuto, 5mila negozi in 120 paesi, 6
milioni e mezzo di chili di lana, 110
milioni di pezzi in un anno per una
superficie pari a due volte e mezzo il
Belgio. La storia di come i quattro fratelli
Benetton — Luciano (classe 1935), Giuliana
(1937), Gilberto (1941) e Carlo
(1943)— siano diventati i re
del pullover è ormai un business
case che appartiene
alla cultura industriale e
non solo italiana. La chiave
del successo? Innovazione
ovunque: nei processi, nel
marketing, nell’organizzazione
per cavalcare il mutare
di tempi e mercato.
Ma oggi — con il gruppo
che sta accelerando verso i
megastore dopo il boom
del franchising — il tessile
abbigliamento, pur rimanendo
l’asset più importante
di Edizione Holding —la
cassaforte di famiglia controllata
al 97,7% da una Sapa,
la Ragione di Gilberto
Benetton e C. —rappresenta
solo un terzo del business
di gruppo. Re del pullover,
con la voglia crescente
di conquistare altri regni
in settori a più alto cash
flow: così Benetton negli ultimi anni ha
diversificato nella ristorazione, nelle autostrade
e nei telefoni, tre comparti dove
gli italiani hanno da sempre una buona
propensione a spendere. Era il 1995
quando in partnership con Leonardo
Del Vecchio, Ponzano vinceva la gara di
privatizzazione della Sme, che voleva dire
Autogrill e Gs (quest’ultima veniva
poi venduta a Carrefour). Poi è stata la
volta di Autostrade, quindi di Grandi
Stazioni fino al blitz su Olivetti e Telecom
con Pirelli. Altri numeri da protagonista
si sono aggiunti a quelli già conquistati
nel tessile. Autogrill con un’Opa da
mille miliardi di lire faceva sua l’americana
Host Marriott; e oggi fattura oltre 3,2
miliardi con quote di assoluto primato
nella ristorazione on the road. Nel frattempo
è cresciuto attorno a Villa Minnelli,
sede storica del gruppo, anche un
impero immobiliare: i Benetton hanno
comprato palazzi e proprietà un po’
ovunque, nelle più belle città del mondo,
da Venezia a Tokio, ma è soprattutto
in Argentina che detengono un’immensa
tenuta di 900mila ettari: un’estancia
da cui ricavano il 10% del fabbisogno di
lana e che fa dire ai mapuches, gli indigeni
con i quali non sono mancate frizioni,
che i Benetton possono attraversare tutta
la Patagonia senza mai uscire dai propri
terreni.
Da noi, dei Benetton si è sempre sottolineato
l’istintivo desiderio di restare fuori
del coro. Pare che Luciano, il leader,
fino a 45 anni non abbia posseduto una
giacca. Fecero scalpore le campagne
pubblicitarie per lanciare gli «United colors»
con le gigantografie realizzate da
Oliviero Toscani che arrivarono a tappezzare
l’Italia anche di profilattici variopinti
(che la Benetton tuttora commercializza
in cobrand con Durex). Si è affermata
l’immagine di un’azienda e di un imprenditore
diventato leader mondiale
senza mai frequentare il salotto buono
di Mediobanca; capace di battere due
volte Agnelli, sulle piste della Formula
Uno e nella gara per la Sme; risoluto a
dire no a una candidatura Romiti nell’ultima
corsa al vertice di Confindustria.
Ma con quasi 8 miliardi di euro di
fatturato, non si può essere né naif né
isolati. E i Benetton — grazie alla tela
finanziaria tessuta da Gilberto — hanno
stretto rapporti proficui con l’ambiente
dell’Iri, in particolare — almeno fino al
divorzio di questi mesi — con Giancarlo
Elia Valori, uno dei manager più potenti
delle vecchie Partecipazioni statali, oggi
presidente degli industriali romani, cui
sono legati gli acquisti di Sme e Autostrade.
Con il gruppo Fininvest i Benetton
hanno avviato intese a più livelli: cedendo
alla holding di Berlusconi una quota
della 21 Investimenti, autentica palestra
di rodaggio per la nuova generazione di
famiglia, in particolare per Alessandro
Benetton figlio di Luciano; lanciando insieme
un fondo chiuso in Usa; concorrendo
nella telefonia mobile, alleati in
Blu, la società del «futuro che non c’era»
e che non ci sarà. Ma se Blu è stato
venduto a coriandoli, l’avventura dei Benetton
nelle tlc è appena cominciata.
Ed è un’avventura che conferma
uno degli assi portanti
del capitalismo di casa, quello
che vede alleati Marco Tronchetti
Provera e i Benetton
(che da anni sono entrati nel
patto di Pirellina con una quota
superiore al 6%). L’operazione
Telecom è la punta dell’iceberg,
ma insieme nella Schemaventiquattro
avevano già
rilevato nel 2000 —con Caltagirone
e la francese Sncf —il
40% di Grandi Stazioni per
407 miliardi. «Quando nel
1996 abbiamo acquistato la
prima quota in Pirellina sapevamo
che quell’investimento
avrebbe dato delle soddisfazioni»,
ha più volte ripetuto Gilberto
Benetton che di Telecom
è oggi il vicepresidente.
E i Benetton in Telecom vogliono
giocare un ruolo niente
affatto subalterno. Altrimenti
non vi avrebbero messo più di
un miliardo di euro, anche a costo di far
lievitare l’indebitamento di casa. Pur
avendo poi solo il 20% di Olimpia rispetto
al 60% di Pirelli Spa, la famiglia Benetton,
per l’effetto filiera sul controllo, molto
più lunga quella di Tronchetti rispetto
a quella di Edizione, detiene di fatto la
maggiore quota di possesso integrato
sia in Olivetti che in Telecom: circa il 5%
di Ivrea e il 2,3% dell’ex Stet, più del
doppio di Tronchetti. Quale sarà la prossima
puntata? Il mercato sta monitorando
le mosse di Ponzano, mette sotto la
lente Autostrade, vagheggia un’Opa casalinga
di Edizione su Benetton sulla falsariga
di ZignagoMarzotto. I debiti post
Olimpia e il recente taglio di stime di
Ubs, vista la crisi dei consumi, inviterebbero
alla prudenza. Ma non sono tali da
far riscrivere una storia di successo, iniziata
nemmeno quarant’anni fa, di quattro
fratelli un po’ strani che, a ridosso di
Villa Minnelli, allora ridotta a una stalla,
si erano messi a lavorare con la lana
quando ancora gli italiani impazzivano
per l’acrilico.
Aldo Bernacchi
.