12 marzo 2003
Sviluppi clamorosi nell'istruttoria sul crollo del gruppo bresciano che aveva lanciato villaggi a Madonna di Campiglio, Stintino, Venezia e Santo Domingo
Bagaglino, il grande crac delle vacanze da sogno Chiusa l'inchiesta sul fallimento da 500 milioni di euro: 84 indagati tra amministratori, manager e grandi banchieri
MILANO - Per l’ultima beffa, la più clamorosa, si erano scelti uno scenario da favola: il sole, il mare e cielo blu di Santo Domingo. «Una villa per voi nel paradiso dei Caraibi», promettevano suadenti i venditori del gruppo Bagaglino. Non era vero niente. Le spiagge incantate sono rimaste nel libro dei sogni. E le case destinate ai vacanzieri italiani avrebbero dovuto sorgere in una palude maleodorante. Nel frattempo, però, decine di investitori avevano già abboccato, versando sostanziose caparre in vista dell’acquisto definitivo. E così miliardi e miliardi di vecchie lire sono spariti nel nulla tra il 2000 e il 2001. Insomma, una truffa da manuale, almeno secondo le accuse ora al vaglio della magistratura. Ma questa storia sconcertante è solo un rivolo dell’inchiesta giudiziaria sul crac del gruppo Italcase-Bagaglino di Brescia. Un fallimento di proporzioni colossali, per oltre mille miliardi di vecchie lire (circa 500 milioni di euro), che nel 2001 ha travolto uno dei marchi più affermati del settore immobiliare italiano, proprietario di hotel, villaggi vacanze e multiproprietà sparsi in località turistiche come Madonna di Campiglio, Stintino e Venezia. Nei giorni scorsi Silvia Bonardi, sostituto procuratore di Brescia, ha depositato gli atti di fine indagine. Un inchiesta a dir poco complicata, che ha richiesto lunghe perizie tecniche sui bilanci di una ventina di società. Le cifre in gioco sono da record. Basti pensare che sarebbero state emesse fatture false per qualcosa come 1.138 miliardi di lire. Dalle oltre 8 mila pagine di documentazione spuntano i nomi di 84 indagati che la procura ritiene responsabili, a vario titolo e con ruoli diversi, dell’ingloriosa fine del Bagaglino. Oltre a Mario Bertelli, fondatore e maggiore azionista del gruppo, l’elenco comprende amministratori e sindaci di svariate società della galassia Italcase, come Roberto Checconi e Pietro Paolo Dessole. Secondo le accuse, però, un ruolo centrale nei fatti che hanno portato al crac è stato giocato anche dalle banche creditrici, in primis la Banca di Roma, poi la Banca Agricola Mantovana (gruppo Montepaschi) e la Banca Nazionale dell’Agricoltura, assorbita in Banca Antonveneta. Ecco perché nella lista degli 84 indagati compaiono nomi di spicco della finanza nazionale. Tra questi Cesare Geronzi e Giorgio Brambilla, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Capitalia. E poi, come amministratori della Banca Agricola Mantovana, il presidente Pier Maria Pacchioni, l’ex numero uno di Telecom Roberto Colaninno, Pierluigi Fabrizi (presidente di Mps) e Mario Petroni, già direttore generale dell’istituto. Per questi finanzieri l’ipotesi di reato è quella di bancarotta preferenziale. Infatti, in base alla ricostruzione della procura di Brescia, tra il 1998 e il 2001 i banchieri sotto inchiesta avrebbero dato via libera a crediti per oltre 250 miliardi di lire alle società del gruppo Bagaglino, ben sapendo che ormai quelle aziende erano decotte. La manovra avrebbe avuto uno scopo preciso. Grazie alle ipoteche rilasciate a garanzia dei prestiti le banche, in qualità di creditori privilegiati, sarebbero riuscite a mettere al riparo dal fallimento buona parte dei loro finanziamenti, con grave danno di migliaia di altri creditori. Contro le banche si è mosso anche il curatore fallimentare Enrico Broli che ha chiesto la revoca di ipoteche per circa 150 milioni di euro. La Banca Agricola Mantovana ritiene di poter provare «la correttezza - è detto in una nota - del proprio operato nella vicenda». E quanto a Colaninno i suoi legali confidano di dimostrare l’assoluta estraneità ai fatti. Questa vicenda di speculazioni (il più famoso è il mega villaggio di Stintino, una colata di cemento con 1.400 villette), finanziamenti allegri, inchieste giudiziarie e colletti bianchi indagati, si porta dietro il dramma di centinaia di famiglie e piccole aziende. Molti di questi sono sardi che si erano fidati troppo e che ora sono sul lastrico. «La mia ditta - afferma Francesco Carta, uno degli isolani più agguerriti e leader di una sorta di comitato - è uscita con le ossa rotte ma molti amici miei hanno chiuso» mentre altre aziende sono fallite. «Non so nemmeno quante famiglie sono state distrutte e i responsabili sono loro». Loro chi? Carta accusa le banche e sono in molti a Olbia, Sassari e Cagliari a puntare il dito nella medesima direzione. Ma qual è la colpa degli istituti di credito? A sentire imprenditori e artigiani a un certo punto nel ’99, quando già il gruppo Bertelli era traballante, «si erano presentati personaggi nuovi tra cui il ragionier Checconi indicato come uomo delle banche». Ricorda Carta: «Questo ci rassicurava e mandavamo avanti i lavori perché dietro sapevamo che c’erano le garanzie degli istituti di credito». In realtà le banche, secondo la ricostruzione della procura, manovravano per «blindare» i loro crediti. «Siamo stati nelle sedi delle banche; abbiamo incontrato i legali della Banca di Roma e a Mantova anche il direttore generale Petroni; abbiamo fatto riunioni su riunioni e tutti ci promettevano che la soluzione era prossima. Noi mandavamo avanti i lavori e in cambio ci davano una parte in case e una parte in cambiali». Poi le promesse sono evaporate e il castello è crollato.
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Mario Gerevini
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