Avere un sogno - di Furio Colombo

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Avere un sogno di Furio Colombo
Era una questione di libertà, e tre milioni di italiani hanno risposto all'appello della Cgil e di Sergio Cofferati. Sono venuti a Roma da tutta Italia, si sono radunati dentro il Circo Massimo e in tutti gli spazi limitrofi. Era un mare di cittadini che non hanno paura e non intendono arrendersi. Hanno detto no al terrorismo, nella sua versione più losca e misteriosa (l’assassinio di uno di noi, inerme, isolato, senza scorta). Hanno portato famiglie e bambini per far sapere che non consegneranno i diritti conquistati in due generazioni di vita democratica. Una folla immensa e tranquilla si è presa il peso del dolore per la vita spezzata di un uomo innocente. Ha reso assurda l’accusa secondo cui difendere un diritto significa odio. Ha mostrato fisicamente quanto è grande lo spazio occupato dai cittadini che si sentono rappresentati dalla Costituzione antifascista e dalle sue garanzie di eguali diritti, di legalità, di rispetto. E tutto ciò è avvenuto in giorni insanguinati e gravidi di tensioni, in cui quasi ogni parola di coloro che dovrebbero avere responsabilità di governo è un ricatto o una minaccia. «Tacete o sarete indicati come complici dei terroristi», ti fanno sapere dai loro giornali. La sequenza è questa. In Italia è in corso un aspro confronto per cambiare lo Statuto dei Lavoratori e in particolare l’art. 18 che impedisce il licenziamento senza giusta causa. C’è molta tensione, ma è la tensione civile che contrappone chi rappresenta i lavoratori a chi rappresenta le imprese. In questo caso, inedito, le imprese e il governo fanno causa comune. Lo squilibrio accentua la tensione ma non interrompe la civiltà e la volontà democratica del confronto. Tutto ciò dovrebbe avvenire intorno ai «tavoli» di trattativa. Ma questo governo toglie i tavoli. I sindacati annunciano lo sciopero, forse generale, forse insieme. La sera del 19 marzo all’ora di cena, due assassini, che poi dicono di essere Brigate rosse, uccidono il prof. Marco Biagi, esperto di lavoro e consulente del governo. È un evento spaventoso, carico di ambiguità e di viltà. Lo scopo del terrorismo è sempre di spingere lungo false piste. Per questo la risposta delle grandi democrazie è sempre di impedire che il terrorismo partecipi al dibattito dopo essersi fatto largo con le armi. Ma questo ruolo spaventoso gli viene subito affidato dal governo che dichiara il terrorismo strumento del sindacato, degli intellettuali che sono contro il governo, della sinistra che tiene la testa alta e non si lascia dire come si fa opposizione. È un ricatto che non avviene mai nelle democrazie. Ma in questa Italia è accaduto. Il primo ministro-proprietario ha usato tutte le sue testate per accusare la sinistra, ha usato il suo settimanale di famiglia per accusare questo giornale e chi lo dirige in termini così estremi da provocare (forse per imitazione, comunque in circostanze che la polizia accerterà) una catena di minacce e annunci di aggressione personale. Il giorno del funerale di Marco Biagi, quel funerale al quale la famiglia non ha desiderato la sua presenza, il presidente del Consiglio è comparso su tutte le reti tv del Paese, quelle di proprietà e quelle di Stato. Ha preteso la messa in onda di una cassetta pre-registrata secondo modalità e sequenze che non sono previste da alcuna legge. Con quella cassetta ha fatto sapere che esistono solo due posizioni, la sua e quella di tutti coloro che non sono d’accordo con lui e che dunque sono i sindacati, l’opposizione e gli assassini. Non ha mai parlato di Stato, non ha mai indicato quel territorio comune in cui ci si raccoglie insieme, ciascuno senza cambiare bandiera, nei momenti di pericolo. Ordina ai suoi portavoce della varie testate e delle varie televisioni di dire che chi fa opposizione mette in discussione le legittimità della sua elezione. Non è vero, naturalmente. Ciò che è in discussione è la legittimità di ciò che ha fatto e sta facendo adesso, dopo la sua elezione. È la legittimità di leggi relative ai suoi affari personali, che hanno fatto notizia nel mondo. È la legittimità violata da quel comparire senza diritto in tutte le televisioni per dire che chi sta contro di lui e contro le sue «riforme» è un nemico del Paese. In questi termini le parole del primo ministro descrivono una democrazia impraticabile. Coloro che non si rinchiudono nella opposizione-Guantanamo che lui immagina (gabbie trasparenti di comportamenti approvati) sono contigui ai terroristi. Chi ha detto regime? Lo ha detto Berlusconi, venerdì sera, a reti unificate, pubbliche e private, utilizzando un diritto che non aveva, e indicando confini arbitrari di democrazia immaginaria. La mattina del 23 marzo alla chiamata della Cgil e di Sergio Cofferati in difesa del lavoro ma anche di tutta la legalità costituzionale che garantisce i cittadini, tre milioni di italiani hanno risposto e sono venuti in pace e senza spaventarsi delle minacce. È la più grande mobilitazione volontaria nella storia della Repubblica. È la risposta di chi ha fiducia nella sinistra. È la risposta di chi ha il sogno tenace che i figli e i figli dei figli continuino a vivere nella Costituzione della Resistenza e dell’antifascismo, continuino ad avere i diritti che quella Costituzione ha generato.
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