27/6/2007 ore: 11:23
Antitrust contro banche e assicurazioni
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ROMA - Le nozze tra San Paolo e Banca Intesa, e quelle tra Unicredit e Capitalia, hanno creato «imprese bancarie» più forti e competitive perché più grandi. Le due operazioni, però, fanno anche lo sgambetto alle regole della concorrenza, come sanno gli italiani in cerca di una assicurazione. In sostanza, ognuno dei due colossi bancari offre ai propri clienti polizze di una sola marca: San Paolo-Intesa vende Generali (o al massimo Eurizon); Unicredit-Capitalia invece le Ras. Queste offerte bloccate preoccupano Antonio Catricalà, presidente dell´Antitrust e garante della concorrenza, che denuncia l´intreccio incestuoso tra banche e assicurazioni. Che cosa farà, in concreto, Catricalà? Per ora un semplice studio sul fenomeno. Più avanti si vedrà. Intanto, mentre presenta alla Camera la relazione annuale sulla sua attività, il garante si ferma anche sul settore delle assicurazioni per auto. Denuncia che «i profitti delle compagnie crescono, ma non scendono i premi pagati dagli assicurati». Gli stessi che aspettano per mesi i risarcimenti e subiscono clausole ingiuste. Guai isolati? Catricalà nota intorno a sé un clima complicato, con le grandi imprese e le lobby che rialzano la testa, aiutate dalla destra e dalla sinistra in una precisa missione: ostacolare le liberalizzazioni e l´apertura dei mercati. Gli effetti si vedono in giro. Nel commercio, dove la poca concorrenza tiene ad arte i prezzi alti. Nel calcio, dove resistono seri conflitti d´interesse. Nel settore dei farmaci generici. Se diffusi per davvero, ridurrebbero la spesa sanitaria. E invece... Non è la sola puntura di spillo riservata ai partiti. L´altra colpa è di controllare ogni respiro della Rai. Catricalà - tra le immediate proteste della sinistra radicale - si augura la vendita della tv di Stato, che intanto incoraggia a investire di più. Se Mediaset ha convertito al digitale terrestre 900 suoi ripetitori, Viale Mazzini è ferma a 200. Catricalà critica lo Stato pesante, la sua rete di uffici pubblici tra le più costose, le sue regole su regole che intralciano le imprese. La macchina burocratica brucia 148 miliardi solo di stipendi e 77 per beni e servizi. Se l´insieme di regole e pratiche che essa produce diminuisse del 25%, a sua volta la ricchezza nazionale (il Pil) crescerebbe dell´1,7. Il garante chiede poi coltelli più affilati. Tante aziende umiliano i loro clienti. Ma l´Antitrust, che pure riceve centinaia di denunce, non può agire perché non ha questo compito. Eppure, quando investita di missioni di pronto intervento, si fa valere. Capita nella repressione della pubblicità bugiarda, che ha procurato alle imprese ingannevoli sanzioni per 7 milioni in 3 anni. A proposito di pubblicità, il garante è anche preoccupato per il Tfr degli italiani. Tanti lo hanno trasferito dalle proprie aziende ai fondi senza avere informazioni chiare «al momento della scelta». Le multe, dunque. All´Antitrust, Catricalà ha inaugurato l´era del dialogo. Svariate società hanno scansato sanzioni esemplari perché si sono pentite di aver attentato alla concorrenza e hanno corretto la loro rotta. Catricalà rivendica alcuni successi di questa sua politica. Senza bisogno di multe o spargimenti di sangue, sono state ridotte le commissioni interbancarie per il bancomat, ad esempio. Aziende prive di una rete di antenne (come la Carrefour o le Coop) hanno potuto lanciare propri cellulari, vincendo le resistenze degli operatori storici. Non sempre, però, il dialogo basta. E l´Antitrust giura di aver usato anche lo scudiscio. In un anno ha punito violazioni della concorrenza con multe per 366 milioni, «di cui 347 già incassati». |