22/10/2004 ore: 11:08
All'ultima spiaggia
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N.42 del 21 ottobre 2004
Attualità L'INDUSTRIA DEL TEMPO LIBERO All'ultima spiaggia Prezzi alti. Servizi scadenti. Strutture insufficienti. Così sempre più stranieri disertano il nostro paese. Mentre gli italiani fanno le vacanze all'estero. E il turismo va in crisi di Alessandra Carini I tedeschi se ne sono andati da tempo, erano un terzo del nostro turismo alla metà degli anni Ottanta, oggi si sono ridotti al 25 per cento. Sono cambiati i gusti, la crisi economica europea che ha falcidiato i redditi medi ha tagliato i viaggi, trovano troppo cari i prezzi. Gli americani hanno paura di viaggiare: dall'11 settembre hanno disertato in massa l'Europa, riducendo sul lastrico un turismo d'élite che aveva riempito gli alberghi di lusso e reso ricchi molti negozi italiani. C'è qualche speranza per il futuro, se la svalutazione del dollaro non ci mette la coda. Ma nulla di più. Gli italiani, in cambio, se ne vanno sempre più spesso e sempre più volentieri all'estero: hanno scoperto Internet e i voli a basso costo, trovano più conveniente una settimana a Cuba che dieci giorni in montagna, vanno in bicicletta in Olanda rischiando la pioggia piuttosto che litigare per un ombrellone di fila. Risultato: la Bella Italia sta perdendo il turismo, molte aziende chiudono, si moltiplicano gli allarmi. Nell'ultima stagione c'è stata una perdita secca di 800 milioni di euro di fatturato, sette milioni di presenze in meno e un taglio all'occupazione di oltre il 10 per cento. Ma è una tendenza che dura da tempo, rendendo visibile uno spettro che finora aveva aleggiato solo sull'industria: quello della delocalizzazione. Fino a poco tempo fa i morti e feriti della perdita di competitività si misuravano solo in fabbriche chiuse, operai sul lastrico e produzioni spostate all'estero. Oggi la delocalizzazione sembra avere imboccato altre strade: colpisce i servizi, proprio quei servizi che, essendo in monopolio, si presumeva potessero essere al riparo della concorrenza, tanto più in un Paese come l'Italia che, come dicono gli economisti, ha da sempre avuto un vantaggio competitivo enorme, soprattutto nel turismo: le coste, il sole, il mare, le città d'arte, il patrimonio culturale, la gastronomia e infine un marchio Paese da fare invidia. Oggi quel monopolio non regge più. L'unica riserva che resiste tetragona a qualsiasi vento di crisi sono le città d'arte e, di recente, il turismo qualificato che si è disseminato, in mille rivoli, nell'Italia minore. Ma per il resto è un dato negativo dietro l'altro: l'esclusiva del sole e delle coste è insidiata da Paesi vicini come quelli della ex Jugoslavia, il taglio dei costi dei voli rende convenienti mete una volta irraggiungibili, la qualità delle infrastrutture stradali e dell'offerta turistica complessiva mostra le corde, e infine l'aumento dei prezzi, che ha colpito alberghi e ristorazione più di altri settori, ha messo in fuga i turisti. "Rischiamo 6 mila posti di lavoro", è l'allarme della Federturismo, l'associazione della Confindustria che riunisce le aziende del settore. E al suo capezzale sono accorsi non solo ministri e governatori di Regione, ma anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e quello della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo che ha aggiunto anche questo settore al ricco carnet della difesa del made in Italy, leit motiv della sua presidenza. L'allarme è di oggi, ma la crisi viene da lontano. Secondo una ricerca condotta dal Ciset (il centro studi sull'economia turistica dell'Università Ca' Foscari), per le Regioni italiane l'erosione delle quote di mercato dura da tempo. Negli ultimi vent'anni il peso dell'Italia, in termini di flussi turistici, è sceso di ben due punti, si è dimezzata la capacità delle entrate turistiche di compensare il moltiplicato aumento delle partenze degli italiani verso l'estero, il prezzo dei servizi è salito molto più che altrove, la carenza di infrastrutture, a partire dalle strade, vera porta d'accesso per il turismo europeo che arriva e si ferma a Nord, sta diventando drammatica. È l'Italia, soprattutto, a soffrire. Paesi vicini, come la Francia, che hanno dovuto fare i conti con gli stessi problemi (dalla scomparsa degli americani all'euro) si sono difesi molto meglio. Nel 2002 la Francia è riuscita a confermare il suo primato di 77 milioni di arrivi internazionali (il 2,4 per cento in più rispetto all'anno prima), mentre l'Italia è scesa sotto i 40 milioni. "È l'effetto di due fenomeni concomitanti", dice Mara Manente, direttrice del Ciset, "il mercato interno d'Oltralpe si è difeso meglio con un'offerta più ricca e differenziata. Per giunta i francesi, per tradizione, sono più attaccati al loro Paese e viaggiano meno. L'Italia, quanto ad arrivi dall'estero, è andata avanti per inerzia in un mondo sempre più competitivo e, a partire dagli anni Novanta, è esploso il turismo degli italiani, segno di un Paese più ricco e benestante. Insomma siamo più simili agli altri come modelli di consumo, ma dobbiamo cercare altre strade per aumentare l'offerta". Lo dimostrano tra l'altro, i dati di dettaglio della crisi: a soffrire di più sono stati in questi anni il Nord, prima meta negli arrivi internazionali, e soprattutto quelle località che non hanno saputo dare nuovo appeal all'offerta, scontata, della spiaggia e l'ombrellone. Chi si è inventato il distretto dei divertimenti e ha potenziato il turismo congressuale (Rimini), chi ha puntato sull'unione con itinerari culturali o termali (alcune località del Veneto), chi sulla gastronomia o, di nuovo, il vero filone d'oro del turismo della salute e cultural locale (alcune zone in Trentino). Sono i germogli della ricerca di vie per uscire dalla crisi. A livello generale, però, le soluzioni non sono affatto semplici. A Genova, qualche settimana fa, governo, Regioni e operatori, sono andati a caccia di idee per porre un argine alla crisi. Ne è emerso un pacchetto di richieste che oscillano tra la prospettiva di nuovi finanziamenti da ottenere, magari con il via libera all'apertura di nuovi casinò che attraggano giocatori e lascino sul tappeto delle Regioni entrate da destinare alla promozione, fino alla prospettiva di un'Agenzia o di un ente centralizzato di promozione che colmi il vuoto lasciato dal ministero del Turismo, trasformatosi negli anni in un carrozzone inutile. Corre poi, sottotraccia, la speranza che a tappare tutti i buchi arrivino come una manna i cinesi: hanno già superato il Giappone quanto a partenze per l'estero e sono turisti che hanno una propensione di spesa tra le più alte al mondo. E se si guardano i dati sulla carta non c'è che da credere: già da oggi almeno 30 milioni di cinesi sono pronti a viaggiare e a spendere tra i 3 e 5 mila dollari per visitare il vecchio continente e soggiornare nel nostro Paese. Ma le procedure non sono così semplici anche se in quelle per i visti si sono allargate le maglie. E comunque l'arrivo dei cinesi avrà, se lasciato solo, gli effetti di una ripresa drogata. I nostri clienti più fedeli restano quelli europei: francesi, tedeschi, spagnoli. Sono loro lo zoccolo duro del turismo che resiste, attratto dalla meta Italia, e che va riconquistato. È la ricerca di nuove frontiere e capacità organizzative a dare la prospettiva di una ripresa più stabile. Stando a un sondaggio condotto dall'Ufficio italiano dei cambi, la vacanza sul territorio (cioè il circuito eco-turismo, turismo gastronomico e del vino, cicloescursionismo) attrae in Italia 700 mila persone. Sono una goccia nel mare dei 7 milioni che battono le città d'arte: ma sono una fascia medio alta, in forte crescita. Sono loro i "cinesi" che faranno ricco il territorio.
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