"Tfr" E.Fornero: «Prima bisogna tutelare il risparmio»
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giovedì 8 settembre 2005
pagina 18
ELSA FORNERO L’ANALISI DEL DIRETTORE DEL CENTRO STUDI SULLA PREVIDENZA: «IL GOVERNO HA CREATO DIFFIDENZA, NON SE NE FARA’ NULLA»
«Prima bisogna tutelare il risparmio»
intervista RAFFAELLO MASCI
ROMA La probabilità di varare il secondo pilastro della previdenza, attraverso la valorizzazione del Tfr, rischia di sfumare proprio nell’ultimo scorcio di legislatura. La professoressa Elsa Fornero, che insegna macroeconomia nell’Università di Torino e dirige il centro studi sulla previdenza (in sigla Ce.RP), si spinge fino a formulare delle previsioni in termini di probabilità: «La possibilità che rimedino a questo probabile fallimento attraverso un buon decreto la do al 2%. Che facciano invece un decreto raffazzanato per accontentare tutti scontentandoli al tempo stesso, la do al 60%. Per il restante 38% dico che non faranno niente: resterà la riforma Dini così com’è. D’altronde la previdenza integrativa in qualche modo è già partita attraverso le polizze private e i fondi pensione attivi dal ‘98 ... e il prossimo governo poi ci rimetterà mano».
Professoressa, siamo all’impasse?
«Siamo esattamente nella posizione in cui la gestione di questa materia ci ha condotto».
Cioè?
«Oggi il Tfr è l’unica certezza che i lavoratori hanno: un gruzzolo che presto o tardi arriva. Perché uno se ne possa privare è necessario che le alternative vengano rese altrettanto convenienti e sicure. Un lavoratore che ancora oggi percepisce una discreta pensione, secondo lei, prende questi soldi e li affida ad un sistema in cui il risparmio è tutelato come i casi Parmalat e Cirio hanno dimostrato e gli organismi di vigilanza sono quelli di cui le pagine dei giornali sono piene in questi giorni? Ma andiamo!»
Se il quadro è questo non valeva nemmeno la pena iniziare.
«Senta: se un governo intende portare a termine una riforma orientata allo sviluppo della previdenza complementare, deve o no occuparsi prima delle condizioni di quadro in cui questo progetto deve attecchire?»
Il ministro Maroni non è stato certo precipitoso: è dal 2001 che stiamo parlando di questa riforma.
«Proprio perché ne stiamo parlando dal 2001, c’era tutto il tempo per fare una buona legge sul risparmio e invece non ne siamo venuti ancora a capo. Si è invece optato per una scelta decisionista, affidata ad una delega, la quale si è impelagata su un sistema di veti incrociati che, a questo punto, temo non approdino a nulla di buono».
Dietro i veti non c’è piuttosto la difesa a oltranza di orticelli privati?
«C’è anche questo, evidentemente. Però, le dico: le aziende non possono pretendere una compensazione 1 a 1, ma se il mercato fosse stato sano e trasparente, dall’investimento del Tfr ne avrebbero tratto vantaggio anche loro. Le banche che stanno sul mercato resistono all’ipotesi di condizioni in qualche misura imposte, ma così non sarebbe se l’atteggiamento delle aziende non fosse quello dell’arroccamento. Quanto ai sindacati è vero che spingono perché il Tfr finisca nei fondi chiusi ma così non sarebbe se il mercato privato offrisse differenti tutele. E passiamo alle assicurazioni: hanno commesso il grave errore di comportarsi come piazzisti, immettendo sul mercato prodotti di differente affidabilità, ma una vigilanza più stretta e un ruolo più coraggioso dell’Ania avrebbe evitato questi scivoloni».
Conclusione.
«Il governo doveva creare un quadro di condizioni perché la riforma attecchisse. Invece ha creato solo diffidenze. E la riforma se la scorda».
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