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lunedì 18 giugno 2007
Pagina V - Tfr e fondi pensione
L'Intervista Cesare Damiano
«Adesioni al 40%, questo resta l’obiettivo»
Laura Matteucci
«L’obiettivo del 40% di adesioni entro fine anno rimane valido. È chiaro che nessun risultato può essere dato per scontato, però gli andamenti delle adesioni sono sostanzialmente in linea con le nostre attese. Non dimentichiamoci che, nei loro dieci anni di vita, i fondi pensione contrattuali hanno totalizzato un risultato pari al 13% di adesioni. Arrivare al 40% in un anno, quindi, significa triplicare quello che si è fatto in un decennio. Possiamo esserne soddisfatti».
Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, fa il punto sulla pensione integrativa. Mancano pochi giorni ormai alla scadenza del 30 giugno, e se entro questo termine (o a sei mesi dall’assunzione, se avvenuta dopo il primo gennaio 2007) il lavoratore non avrà fatto alcuna scelta esplicita relativa alla destinazione del suo Tfr, con la formula del silenzio-assenso questo verrà versato al fondo pensione collettivo della categoria di appartenenza. Per avere dei dati certi sull’andamento delle adesioni, dunque, dovremo aspettare fine giugno, e poi attendere anche quelle successive che arriveranno in seguito, con il silenzio-assenso.
Ministro, ricordiamolo: le iscrizioni ai fondi pensionistici complementari non hanno una data di scadenza. Mentre è impossibile il percorso inverso, tornare dal fondo al Tfr.
«Esatto. Quindi l’opera di convincimento continuerà. I risultati dei primi quattro mesi del 2007 ci dicono che per i fondi negoziali le nuove adesioni riguardano circa 120mila persone, un risultato che è il doppio di quello dell’intero 2006. Questo significa che la velocità dell’adesione è notevolmente aumentata. Un apporto consistente lo avremo anche con il silenzio-assenso, soprattutto per quanto riguarda le piccole realtà aziendali. In più, dobbiamo considerare anche l’adesione ai fondi aperti e ai piani individuali pensionistici».
Dalle verifiche compiute dal ministero, qual è l’identikit di chi ha già aderito?
«Quello che al momento possiamo dire con certezza è che la velocità di adesione è maggiore nella grande impresa. Ovvero, nelle imprese che sono anche sindacalmente più organizzate: in questi casi l’informazione, e la spinta, sono maggiori. Non va sottovalutato il ruolo dei sindacati: per favorire l’adesione, non bastano le pubblicità istituzionali del governo. Se non sono accompagnate da un’opera di convincimento delle parti sociali, rischiano di essere ben poca cosa. E, infatti, le adesioni sono numericamente maggiori tra i lavoratori più organizzati: quelli dell’energia, i chimici, i metalmeccanici. Il Fondo Cometa, quello negoziale dei metalmeccanici, uno dei primi istituiti oltre un decennio fa, ha avuto fin da subito 350mila adesioni, che poi ha mantenuto nel corso degli anni e che sono in via di incremento. Il che significa che i nuovi iscritti hanno sempre rimpiazzato le uscite. A ulteriore conferma di questo ragionamento, la situazione è molto meno fluida nelle piccole imprese, anche perchè qui la pressione dei datori di lavoro è più forte e maggiormente orientata al trattenimento del Tfr in azienda».
Comprensibile.
«In parte è comprensibile, sì. Perchè è una fonte di autofinanziamento a basso costo, anche se sono oggi previste compensazioni di tipo fiscale per il trasferimento del Tfr. Perchè la mancata adesione non costringe l’azienda a versare contributi per il fondo. E poi, bisogna anche aggiungere che tradizionalmente è più difficile raggiungere questi lavoratori da parte delle organizzazioni sindacali».
Lei ha sempre sottolineato l’importanza di questa riforma in particolare per i giovani. Ma come hanno risposto fino a questo momento?
«I giovani confermano purtroppo una maggiore difficoltà di adesioni. Diciamo che in genere sono più diffidenti, come segno di una tradizionale difficoltà a pensare ad un futuro che sentono lontano. Anche al Fondo Cometa la percentuale di giovani tra tutti coloro che avevano aderito non era superiore al 22%. Per loro soprattutto, quello del convincimento sarà un lavoro di lungo periodo».
Parlare di una riforma necessaria soprattutto per i giovani non significa automaticamente dare l’allarme sulle pensioni?
«Non è questione di allarmi. Però occorre essere trasparenti: la loro condizione pensionistica è soggetta sicuramente ad un abbassamento del risultato, quindi la pensione complementare diventa indispensabile. Bisogna ricordare anche che potranno riscuoterla in parte sotto forma di capitale, e in parte sotto forma di pensione. Comunque, noi non parliamo solo ai giovani. La riforma del Tfr conviene. A tutti».
Perchè conviene? Perchè è preferibile per il lavoratore destinare il proprio Tfr al fondo piuttosto che lasciarlo in azienda?
«Perchè è dimostrato che nel lungo periodo il rendimento del Tfr è più vantaggioso se affidato al fondo. Perchè la tassazione è estremamente favorevole, sia per quanto riguarda i versamenti, sia per i rendimenti. Perchè - ancora - il lavoratore può scegliere tra diverse linee di investimento obbligazionarie, azionarie, miste. Fondi negoziali e aperti, ad adesione collettiva o individuale. Nel caso dei Fondi negoziali (quelli istituiti dalle associazioni padronali e sindacali insieme, gestiti però da soggetti specializzati, le sgr, ndr) non si corrono rischi. I Fondi negoziali, ripetiamolo ancora, non hanno nulla a che fare con i fondi di investimento nati un po’ ovunque nel mondo. Lo stesso paragone è fuorviante. La nuova normativa al riguardo è trasparente, tutela e garantisce i lavoratori. Tanto che anche le categorie più in ritardo - l’agricoltura, per esempio - hanno costituito i loro Fondi, o si apprestano a farlo. Si è ormai creata una rete di Fondi che renderà sempre più evidente per i lavoratori quali sono le scelte per loro più vantaggiose. Noi abbiamo fatto bene ad anticipare di un anno l’avvio della scelta, che si inserisce e rende anche più chiara la generale riforma del sistema pensionistico, una strada che il governo ha ormai imboccato. Del resto, l’Italia parte quasi dall’anno zero in materia, ma nel resto d’Europa le cose vanno in tutt’altro modo».
Cioè, come funziona nel resto d’Europa?
«In Europa i fondi pensione svolgono un ruolo importante non solo per garantire una copertura previdenziale ai lavoratori, ma soprattutto quali investitori istituzionali, in grado di intervenire anche nella gestione economica dei vari Paesi. La crescita anche in Italia di questi soggetti sarà un ulteriore passo in avanti nel processo di integrazione economica e finanziaria».
Non si corrono rischi, dice. Però l’andamento dei fondi pensione è esposto ai rischi del mercato.
«È vero, i Fondi possono risentire degli andamenti delle Borse, ma è altrettanto vero che statisticamente, sul lungo periodo, i risultati sono comunque migliori. Del resto, basta andare a guardare i rendimenti dei Fondi degli ultimi dieci anni per accorgersene. Senza contare che i lavoratori possono optare per un profilo di investimento assolutamente cauto, come quello obbligazionario, o anche con garanzia che prevede la restituzione del capitale».
Ma, alla fine, il lavoratore può sperare di contare su un rendimento di una qualche sostanza?
«Questo dipende sempre da quanto si versa e per quanto tempo. In ogni caso, è certo che alla pensione pubblica si andrà ad aggiungere una quota di pensione privata. Peraltro, il lavoratore può sempre scegliere di riscuotere fino al 50% di capitale, e l’altro 50% si trasformerebbe in una - più o meno consistente - rendita pensionistica».
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