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"StatoLiquido" Ventidue «fedeli» e uno striscione per i papalini morti

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    mercoledì 21 settembre 2005

    LA CONTROCERIMONIA TRA VESSILLI VATICANI E CORI

    Ventidue «fedeli»
    e uno striscione
    per i papalini morti
      Mattia Feltri
        ROMA
        «Ma qualcuno ci vuole spiegare che succede?». In effetti la scena è surreale. Corso Italia, a Roma, poco dopo mezzogiorno. Davanti al cinema Europa c’è un gruppo di dodici persone. Uno filma l’evento, tre reggono uno striscione con scritto «Onore ai caduti pontifici», gli altri dietro sorridono e sventolano un vessillo vaticano e una bandiera col Sacro cuore. Sull’altro lato della strada c’è il monumento (transennato perché in ristrutturazione) costruito nel punto in cui, il 20 settembre 1870, i bersaglieri aprirono la breccia nelle mura di Roma, presero la capitale allo Stato pontificio e la consegnarono al Regno d’Italia. Così arrivano questi due ragazzini curiosi - cominciano la terza media - e dopo un po’ uno chiede: «Ma qualcuno ci vuole spiegare che succede?».
          Il cronista che si produce nella sommaria lezione di storia conclude così: «Ecco, questi tizi commemorano i caduti dell’altra parte». «Ma allora non sono brave persone». «Stanno soltanto commemorando dei morti, che stavano col Papa, ma erano italiani anche loro». «Ma chissenefrega...». Ma chissenefrega, dice, e se ne va perplesso. In effetti il ragazzino non esprime una posizione minoritaria. I commemoranti, al clou della manifestazione, sono ventuno, più un ventiduesimo con lo stemma dei paracadutisti sulla giacca che passava di lì e «mi sono fermato a vedere».
            Sei anni fa alla controcelebrazione si riunirono in sessanta, non proprio una folla, ma un gruppo numericamente dignitoso e nobilitato dalla presenza del governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. Questa volta l’unico volto riconoscibile è quello del principe Lillo Sforza Ruspoli, che non manca mai, e anzi è stato l’organizzatore sinché non vinse la battaglia della vita, la beatificazione nel 2000 di Pio IX, l’ultimo Papa Re. Ora il principe ha lasciato a Fabrizio e Roberto Lastei, fratelli di 41 e 34 anni, rispettivamente presidente e vicepresidente di «Militia Christie», un «movimento politico cattolico che si batte per ricostruire la Nostra Patria, seguendo esclusivamente la Dottrina Sociale Cattolica, in piena obbedienza al Magistero ed alla Disciplina della Chiesa», nato «per ricostruire tutto quello che hanno distrutto tutti questi partiti omologati al pensiero delle potenti ed influenti logge massoniche, delle varie lobbies e sette, fortemente anticristiane».
              Fabrizio, il presidente, è uno di quelli che chiamano «invasori» i garibaldini, è fedele a San Giorgio, il cavaliere che uccise il drago e apparve in sogno a Riccardo Cuor di Leone durante la crociata contro il Saladino, e francamente non sa quanti siano i suoi iscritti: «Non c’è tesseramento, basta la fedeltà della parola. Ma su Roma saremo un centinaio». E quando gli si dice che i ragazzini non lo considerano «una brava persona», allarga le braccia: «Questo è il risultato delle mistificazioni e delle calunnie portate avanti da centotrentacinque anni dalla storiografia di Stato. Una propaganda così di parte e così efficace che Goebbels avrebbe qualcosa da imparare».
                E allora per ristabilire le cose hanno parlato il principe Ruspoli, i fratelli Lastei, e poi monsignor Ignacio Barreiro (uno ancora dolente per il fatto che nel punto della breccia le mura non furono fortificate perché confinanti col giardino di un principe Bonaparte, che non voleva soldati fra i piedi) ha impartito la benedizione in latino. I tre hanno ricordato che le democrazie hanno portato «la libertà di abortire, di profanare la fede e di distruggere la famiglia col divorzio», e hanno portato le guerre «alla Bush», col sostegno delle massonerie e delle lobby ebree anticristiane. E hanno chiuso gridando «onore!» a «tutti i caduti pontifici e a tutti coloro che si sono immolati per la Chiesa».
                  Nella circostanza, i papalini morti furono diciannove. Ma le targhe del monumento riportano soltanto i nomi dei quarantanove dell’esercito regio. Gli altri, dicono i Lastei, «dimenticati, cancellati. Qualcuno li ha paragonati ai combattenti di Salò. Ma stavano soltanto difendendo la loro città e il loro Papa». E sarà pure vero, ma fa impressione ricordare che a Roma ci furono, poi, 40 mila e 785 sì all’annessione al Regno, e 46 no. Si sa quant’è volubile il consenso.

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