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venerdì 28 ottobre 2005
Pagina 3 PrimoPiano
IL PREMIER ALL’UE - ADDIO A MAASTRICHT, SE SERVE A BATTERE PERIODI DI RECESSIONE
E Berlusconi rilancia la formula magica della spesa in deficit
Ugo Magri inviato a HAMPTON COURT
Non è che Silvio Berlusconi ha voluto dare nuovamente sulla voce a Carlo Azeglio Ciampi, dopo lo scatto di nervi dell'altro ieri. E' che proprio lui la vede diversamente dal Capo dello Stato, e la differenza balza subito all'occhio. Altro che sostegni alle imprese per renderle più competitive, come si raccomanda l'uomo del Colle: secondo il nostro premier la chiave della ripresa sta altrove. Anzitutto nei rapporti di cambio tra euro e dollaro. La Banca centrale europea dovrebbe mostrarsi meno inflessibile, è la sua tesi, in difesa della moneta unica. Difatti, ha sostenuto in conferenza stampa a conclusione del vertice informale europeo, non appena il dollaro ha riguadagnato un po' di terreno, ecco che la nostra economia ha subito ripreso fiato. Insomma, agli occhi di Berlusconi l'euro sopravvalutato sul biglietto verde resta la causa prima delle nostre disgrazie.
Poi ne ha elencate altre, dall'invasione dei prodotti asiatici (cui a suo parere «bisognerebbe trovare il modo di resistere»), al rincaro dei prodotti energetici che «incide sui bilanci delle famiglie». Ma pure qui, come nelle politiche di cambio, «i governi nazionali non possono intervenire», hanno le mani legate. Dovrebbe muoversi l'Europa, ha insistito Berlusconi davanti ai capi di Stato e di governo riuniti da Tony Blair nell'antico maniero di Enrico VII a Hampton Court, due passi da Londra.
Appena ha finito di parlare, se si dà retta al premier, molti leader europei sono andati da lui a congratularsi, quasi che avesse rotto un incantesimo collettivo. Berlusconi ha interpretato quelle strette di mano come una bocciatura della Banca centrale europea, che nel suo intervento non aveva mancato di criticare apertis verbis. Per chi segue dappresso il Cavaliere, è un concetto tante volte udito: la Bce «dovrebbe cambiare la sua missione», invece di concentrarsi sulla difesa della moneta farebbe meglio a favorire le condizioni dello sviluppo. Vero è tuttavia che il premier, perlomeno nella conferenza stampa di fine vertice, vi ha messo un'enfasi alquanto speciale. Arrivando a sostenere che ormai l'«inflazione non fa più paura».
In una fase di congiuntura stagnante, è il pensiero di Berlusconi, «l'economia va sostenuta con interventi di spesa pubblica, anche in deficit, come fanno gli Stati Uniti». E non si dica, s'è lanciato al galoppo, che esiste un vincolo europeo da rispettare: «Oggi il 3 per cento nel rapporto deficit-Pil rappresenta l'eccezione nei bilanci dei vari Stati, andare al di là è diventato la regola» se si pensa che quel tetto l'hanno sfondato Germania, Francia e Italia, tre economie da sole pari al 70 per cento del Pil continentale. Ebbene, «si è visto che l'incremento del deficit in questi paesi non ha portato a un ritorno dell'inflazione», a riprova della teoria berlusconiana.
Più del carovita, il Cavaliere si preoccupa del disfattismo. E ne dà colpa, naturalmente, alla sinistra. «Auspico che la si smetta», è sbottato ieri davanti alle telecamere, «perché a forza di fare i menagramo si reca danno a tutti quanti», la gente si spaventa, non apre il portafogli e l'economia si deprime. Insomma, secondo il Cavaliere la crescita zero non è il risultato di un'offerta poco competitiva, come sostiene il Capo dello Stato, ma di una domanda svogliata, figlia di tutti gli shock subiti dall'economia mondiale, dall'11 settembre alla guerra in Irak. A proposito: Berlusconi ieri ha ridimensionato certe sue affermazioni contenute nel prossimo libro di Bruno Vespa. Il ritiro del nostro contingente militare avverrà, questo è certo, ma il come e il quando restano nebulosi. «Non c'è nulla di nuovo», ha garantito il premier, «ne parlerò con il presidente Bush nell'incontro che avremo a Washington la prossima settimana».
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