12/6/2007 ore: 11:52
"Scoperte!" Krugman: l'outsourcing aumenta i divari
Contenuti associati
Pagina 41 - Economia dal nostro inviato Paul Krugman, come ieri alla Fondazione Luigi Einaudi di Torino, parla spesso di quel dipinto. L'economista di Princeton lo fa perché dà la misura di quanta strada abbia fatto il capitalismo, con interi segmenti di produzione oggi trasferiti da Detroit al Messico o dall'Ohio alla Cina. Ma lo fa anche perché, sostiene, quella migrazione del lavoro, diffusa ormai anche nei servizi, allarga il divario fra chi guadagna molto e chi poco a un ritmo tale che le vecchie ricette vacillano. «Non serve più ripetere che il libero commercio è buono per tutti - dice Krugman - . L'ipotesi più accreditata è che gli scambi crescenti fra i Paesi avanzati e quelli a basso costo danneggino molti lavoratori occidentali. Forse persino la maggioranza». Soprattutto nel mondo anglosassone, anche i servizi tradiscono ormai il modello che metteva d'accordo i Ford e Diego Rivera. L'elenco dell'outsourcing presentato da Krugman ieri alla lezione organizzata dalla Compagnia di San Paolo è in parte noto: da tempo i telefonisti vengono licenziati in Nebraska e assunti a Bangalore, come ormai anche gli analisti delle radiografie o gli esperti di dichiarazioni fiscali. Ai programmatori di software della Silicon Valley viene chiesto di condividere le mansioni sui reciproci turni di giorno e di notte con i loro parigrado in India. Quindi, non appena questi ultimi assorbono le competenze, l'impresa trasferisce a loro tutto il lavoro: costano, stima Krugman, cinque volte meno dei colleghi californiani. Meno attenzione attira l' outsourcing opposto, quello dalle economie emergenti: quando la cinese Lenovo ha acquisito la divisione computer di Ibm, ha stabilito il quartier generale in North Carolina. E a New York o a Londra aumentano le sedi di imprese multinazionali, anche di Paesi in via di sviluppo come l'indiana Mittal. «I manager vogliono vivere vicino ai banchieri», dice Krugman. |