"Risparmio 2" Poche tutele al popolo dei bond (S.Lepri)
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venerdì 4 marzo 2005
IL PUNTO SULLA RIFORMA DOPO 16 MESI DI DIBATTITO
Poche tutele al popolo dei bond Più forza ai soci di minoranza
Importante l’obbligo di prospetto informativo per tutti i prodotti Regole più severe su paradisi fiscali e rapporti tra banche e imprese
analisi Stefano Lepri
E la pena massima per i tipi correnti di falso in bilancio è stata quadruplicata da 5 a 20 anni...» scandì il presidente degli Stati Uniti George Bush il 30 luglio del 2002, alla cerimonia solenne per la firma della legge contro gli scandali finanziari; perché «indurre con la frode un investitore ad assumersi rischi è furto sotto altro nome». A 8 mesi dal crollo della Enron, il Congresso Usa, con lo sforzo «bipartisan» che prese il nome dal senatore democratico Paul Sarbanes e dal deputato repubblicano Mike Oxley, aveva approntato nuove e più severe regole. In Italia, a 16 mesi dall’esplosione del caso Parmalat, le nuove regole, sulla cui efficacia molto si dibatte, hanno superato a maggioranza l’esame di un ramo del Parlamento.
All’inizio della vicenda, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva dichiarato di «non avere nessuna preclusione al miglioramento dell norme sul falso in bilancio». Ora, il testo votato dalla Camera modifica solo in parte il controverso decreto delegato del 2002 con cui il governo Berlusconi aveva abbassato le pene detentive per il falso nelle società non quotate in Borsa, aveva limitato la perseguibilità d’ufficio alle sole società quotate e aveva introdotto per tutte una soglia di tolleranza al 5% del risultato di esercizio. Le soglie restano invariate (il testo giunto in aula dalle commissioni competenti le dimezzava); la massima pena detentiva viene elevata da un anno e mezzo a due anni (3 anni secondo le commissioni).
A correzione, viene introdotta l’aggravante di «grave nocumento al risparmio» nel caso che il falso in bilancio determini «un danno riguardante un numero di risparmiatori superiore allo 0,5 per mille della popolazione risultante dall'ultimo censimento o una distruzione del risparmio superiore allo 0,5 per mille del prodotto interno lordo». Secondo un esperto come Mario Sarcinelli si tratta però di una norma di «improbabile» applicazione, di «una grida manzoniana». Una netta marcia indietro rispetto al decreto del 2002 è il ripristino del reato di «mendacio bancario», su sollecitazione, tra gli altri, delle banche stesse: tornerà ad essere punito chi per ottenere credito fornisce alla banca dati falsi sulle proprie condizioni economiche.
Le novità concordemente ritenute più importanti riguardano le regole per amministrare le società, ovvero con termine inglese la «corporate governance». Cresce la tutela per gli azionisti di minoranza, fin qui ritenuta un punto oscuro della legislazione italiana: nelle società quotate, almeno uno dei membri del consiglio di amministrazione dovrà essere espresso dalla lista di minoranza più votata; e nei consigli composti da più di 7 membri, almeno uno dovrà avere requisiti di indipendenza. Nelle assemblee degli azionisti, i soci che rappresentino almeno un quarantesimo del capitale potranno chiedere di integrare l’ordine del giorno. Il collegio dei sindaci potrà promuovere azione di responsabilità contro gli amministratori a maggioranza dei due terzi.
Non cambia molto l’assetto delle autorità di vigilanza, che invece nell’impostazione originaria di Tremonti doveva essere rivoluzionato. Presentando il disegno di legge, l’allora ministro lamentava la «lacuna evidente» che nessuna autorità si concentrasse «a titolo pieno sul risparmio». Con il testo di ieri ne restano 5, la Consob che viene potenziata, la Banca d’Italia, l’Antitrust, l’Isvap (assicurazioni), la Covip (fondi pensione). La principale novità è che dovranno tutte, anche la Banca d’Italia, motivare le loro decisioni. Dovranno coordinarsi in un comitato e non potranno opporre l’una all’altra il segreto d’ufficio; potranno avvalersi della Guardia di Finanza.
Una norma importante contro il ripetersi di nuovi casi Cirio e Parmalat impone il «prospetto informativo» (con tutti i dati rilevanti sui conti dell’emittente) anche per le obbligazioni che, in origine destinate a investitori istituzionali, vengono ricollocate presso i piccoli risparmiatori. E’ battezzata «muraglia cinese» l’altra norma che impone alle banche di separare rigidamente i servizi di consulenza finanziaria alle imprese da quelli di collocamento dei titoli presso i risparmiatori, per evitare conflitto di interessi. E niente più «Buconero SpA», come sfacciatamente si chiamava una finanziaria estera della Parmalat: l’uso di società residenti nei «paradisi fiscali» verrà disciplinato.
Dovrebbe garantire una migliore separazione di interessi tra banche e imprese, ed evitare «scalate» ambigue, la norma che pone limiti («tre quarti della quota che costituisce una partecipazione rilevante») al pegno di azioni bancarie per ottenere crediti dalla stessa banca o da un’altra. Pare che appunto questo si sia verificato nella contesa tra gli azionisti della Banca nazionale del lavoro.
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