26/11/2002 ore: 11:16

"Ricerche/4" «Anche per il liberismo è una cattiva congiuntura»

Contenuti associati

            RICERCHE/4 Lunedì 25 novembre 2002


            La cautela di Marzano

            «Anche per il liberismo è una cattiva congiuntura»
                Il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano è un liberale convinto. Ma, fra la scuola monetarista di Milton Friedman, quella filosofica di John Stuart Mill e quella di mercato di Friedrich Von Hayek, preferisce quella di Luigi Einaudi. «Il mio modello - dice - sono le sue "Lezioni di politica sociale". Sulla sua scia anni fa ho scritto un saggio "Libertà uguale sviluppo", per sostenere che il massimo di benessere si realizza quando esistono due condizioni: economia di mercato e democrazia politica».
                L’Indice della libertà mette l’Italia al penultimo posto. Non si può dire che sia messa bene...
                «Intanto ricordiamo che la vostra analisi si riferisce all’Italia del 2000, quando era governata dal centrosinistra. Mi auguro che nella prossima il nostro Paese faccia qualche passo avanti. Tenendo presente che noi dovremo lavorare con un basso tasso di sviluppo e che questo si deve alla congiuntura internazionale. Ma la nostra idea è di seguire obiettivi in parte contenuti nella batteria di valori indicati nei parametri dell’Indice».
                Un esempio?
                «E’ giusto indicare la disoccupazione nei parametri della struttura di base dell’economia, perché un uomo senza lavoro non è un uomo libero, dipende dagli altri. E su questo fronte stiamo facendo molti progressi, come su quello della riforma fiscale. Quindi si può dire che c’è una corrispondenza di massima tra la nostra azione di governo e la strada indicata dall’Indice della libertà. Senza contare la riduzione degli ostacoli burocratici cui lavoriamo e che rallentano la nascita delle imprese».
                E le cose che potevate fare e non avete fatto in questo anno e mezzo?
                «Dovevamo fare una riduzione della pressione fiscale più rapida e massiccia ma le cose non sono andate per il verso giusto. Da un lato per le condizioni di crisi internazionale, dall’altro perché non avevamo previsto l’entità del buco lasciatoci dal precedente governo. Altra cosa sulla quale occorre accelerare è la tutela del diritto di proprietà privata, soprattutto quella intellettuale e industriale. In pratica i brevetti. Facciamo poca ricerca, siamo molto indietro».
                Anche sul credito l’Indice è molto critico...
                «Ha ragione. Il sistema bancario per troppo tempo ha privilegiato le grandi aziende nella convinzione, come scriveva Keynes, che non fallissero mai. Una migliore valutazione dei progetti finanziabili darebbe più impulso alla libertà economica. Su questo settore molti progressi sono stati fatti ma la strada è ancora lunga».
                Non crede che il liberismo sia un po’ in crisi?
                «Bisogna stare attenti a non fare confusione. Pensare cioè che il liberismo e l’economia di mercato siano immuni dalla congiuntura. E poi vorrei dire una cosa. Le aziende vanno in crisi anche per gli errori del management. E perché dovremmo pensare che un management pubblico faccia meno errori dei privati? L’unica differenza è che nel secondo caso lo Stato, cioè i contribuenti, interverrebbe per pagare le perdite».
                Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha lanciato l’idea di un new deal basato su un maggior ruolo dello Stato. Ha parlato anche di neocolbertismo...
                «Lei vuol farmi polemizzare con Tremonti. Non è che il liberista o il liberale sostiene che lo Stato deve scomparire. Nemmeno Friedman lo ha mai affermato. Dicono invece che lo Stato deve fare la sua parte. E io sono d’accordo: ci vuole uno Stato più forte nelle sue funzioni anche se meno grande. In questo senso il riferimento a Colbert è attuale. Faccio l’esempio delle infrastrutture che solo lo Stato può fare. Non è un intervento illiberale».
                Non crede però che nel governo ci siano posizioni troppo diverse? Caso Fiat, per esempio. Per il ministro Martino può chiudere, An invece è arrivata a minacciare di non votare la Finanziaria se chiude Termini Imerese... «Cosa vuole che le dica. Un governo in cui si dibatte, in fin dei conti, è un governo libero. Solo nelle dittature tutti i ministri e i partiti della maggioranza sono clonati. E poi non dimentichiamo che il Welfare lo hanno inventato i liberali che, dunque, sono tutt’altro che insensibili ai problemi sociali».
                L’allargamento a Est, secondo l’Indice della libertà, non è un pericolo, ma un’opportunità. E’ d’accordo?
                «Dalla ricerca vedo che questi Paesi sono abbastanza a posto e devo ammettere che ne sono favorevolmente sorpreso. Dal punto di vista economico si aprono nuovi mercati e quindi sono un’opportunità. Se c’è un pericolo è che alcuni Paesi non reggano la concorrenza. La sfida è sul fronte dei costi e della qualità e quindi della competitività del sistema industriale. E per quello che riguarda il made in Italy ci vuole, oltre una politica per la competitività del sistema, una forte lotta alla contraffazione e la difesa della proprietà intellettuale».

                R. Ba.

Close menu